Non è semplice spiegare come una attività giudiziaria possa avere allo stesso tempo un carattere e una funzione pastorale, ovvero di “cura delle anime”. Si può dire che anno dopo anno l’inaugurazione dell’Anno giudiziario del Tribunale ecclesiastico regionale umbro (Teru) è stata occasione per comunicare anche questo aspetto.
Va in questa direzione Papa Francesco con il suo magistero, con l’indizione del Sinodo sulla famiglia e i documenti che ne sono il frutto, l’Esortazione post sinodale Amoris laetitia e il Motu Proprio “Mitis iudex dominus Iesus” sulla “riforma del processo canonico per le cause di dichiarazione di nullità del matrimonio”. Nel Motu proprio il Papa ricorda che “il fine supremo delle istituzioni, delle leggi, del diritto” oggi come ieri è “la preoccupazione della salvezza delle anime”, ed aggiunge che è questo a “spingere il Vescovo di Roma ad offrire ai Vescovi questo documento di riforma, in quanto essi condividono con lui il compito della Chiesa, di tutelare cioè l’unità nella fede e nella disciplina riguardo al matrimonio, cardine e origine della famiglia cristiana”.
Padre Cristoforo Pawlik, Vicario giudiziale del Teru, mercoledì prossimo, 4 maggio, presenterà la sua relazione annuale. Come negli anni precedenti la sua speranza è che partecipino alla giornata inaugurale non solo gli addetti ai lavori ma anche parroci, religiosi e laici in vario modo impegnati nella pastorale familiare o anche nei percorsi formativi dei giovani. Prevenire è meglio che curare dice Papa Francesco. Si potrebbe dire che il Tribunale può solo “curare” un matrimonio fallito facendo “verità” sul sacramento celebrato quando uno o entrambi i coniugi lo richiedano.
Padre Pawlik usa l’immagine dell’“ospedale da campo” per spiegare il ruolo del Tribunale. E cita Papa Francesco quando nell’intervista a Antonio Spadaro, pubbblicata da L’ Osservatore Romano il 19 agosto del 2013, spiegava che “prima viene la misericorida e poi il resto” e che “le riforme strutturali e organizzative della Chiesa sono secondarie, cioé vengono dopo” perché “la prima riforma deve essere quella dell’atteggiamento, i ministri del Vangelo devono essere persone capaci di riscaldare il cuore delle persone”.
Così, quando gli chiediamo cosa è cambiato con il Motu Proprio , risponde che “non è cambiato nulla” ma allo stesso tempo è cambiato molto nel senso di una Chiesa che anche in questo settore vuole farsi vicina alle persone che vivono situazioni matrimoniali irregolari. Papa Francesco, sottolinea p. Pawlik, “ha voluto comunicare il tenero e intenso abbraccio della Chiesa a quelle famiglie ferite per le quali occorre accoglienza, accompagamento e preghiera, senza mai negare la verità, senza mai nasconderla o mistificarla”.
Molto si è parlato del “processo breve” nel quale “lo stesso Vescovo è giudice”, ma in realtà non c’è una verà novità quanto piuttosto, spiega p. Pawlik, una applicazione di quanto già stabilito dal Codice di diritto canonico del 1982, una applicazione nella quale viene data maggiore evidenza e concretezza alla centralità del Vescovo nel servizio della Giustizia e alla sua vicinanza di Pastore. Ma anche nel “processo breve”, percorribile solo con il consenso di entrambe le parti e solo se la nullità è manifesta e sostenuta da testimonianze e documenti che non richiedano ulteriori approfondimenti, valgono le stesse le garanzie processuali del processo ordinario.
Il Motu proprio introduce altri cambiamenti nelle cause di nullità matrimoniale, che vanno tutte nel senso di rendere più evidente la sollecitudine pastorale della Chiesa: l’abolizione della cosidetta “copia conforme” per cui era richiesto un secondo grado di giudizio per rendere effettiva la sentenza (resta comunque il diritto delle parti di ricorrere in appello), grazie alla quale i tempi delle decisioni si fanno più brevi; la semplificazione dei criteri per la definizione della competenza del tribunale, tali per cui possono essere accorciate le distanze geografiche che in molti paesi potevano costituire un ostacolo all’accesso al giudizio; infine viene eliminato l’impedimento economico essendo stabilita la totale gratuità delle cause (fatti salvi i compensi degli avvocati scelti dalle parti che non richiedono il patrocinio gratuito) con un impegno delle Chiese locali a sostenere i costi relativi soprattutto alle persone che con il loro lavoro assicurano il servizio del Tribunale diocesano o interdiocesano quale è quello umbro.
“Noi giudici del Tribunale interdiocesano umbro siamo consapevoli che quanto facciamo è complemento ad una azione a servizio della famiglia che inizia nelle parrocchie. Anche nell’esperienza di un matrimonio nato male la persona ha bisogno di sentirsi amata da Dio e le dinamiche procedurali sono a servizio di tale azione e rispondono al bisogno spirituale dei fedeli”.
Ogni anno sono alcune centinaia (554 l’anno 2015) le persone che si rivolgono a Tribunale per fare chiarezza sul loro stato. Nella gran parte dei casi l’esame previo offerto dai Patroni stabili non riscontra elementi tali da suggerire di proseguire nel processo ma il loro lavoro costituisce già una risposta all’esigenza di fare chiarezza.
Le cause che proseguono sono alcune decine (nel 2015 ne sono state introdotte 80 valutate dai Patroni stabili e 23 dai patroni esterni) ed in genere si concudono entro 18 mesi.