Il top del volontariato

Parliamo ancora di volontariato. La riduzione di questo amplissimo fenomeno al solo volontariato del tempo libero è arbitraria e fortemente riduttiva, perché taglia fuori le altre forme che esso ha via via assunto. Una di queste è il “volontariato della cittadinanza”, quello delle due Simone sequestrate in Iraq. Che il Signore assista loro, le loro famiglie e quanti si danno da fare per la loro liberazione. È esistito, e tuttora esiste, anche se gracile e sempre in pericolo di scomparire, un “volontariato della condivisione”. Quando, 33 anni or sono, esattamente nel giorno in cui compivo 33 anni, decisi di entrare in Comunità, a vivere non per i disabili, ma con loro, per superare insieme l’emarginazione, lo feci sulla spinta di un istinto che mi faceva intravedere in quella vita un’intensità tutta particolare. Solo dopo razionalizzai quella mia scelta. Così. Un disabile (mi dissi, ci dicemmo) può presentare due tipi di bisogno, bisogni di ordine tecnico (riabilitativo e lavorativo), bisogni di tipo affettivo/familiare. Ai bisogni di ordine tecnico (riabilitativo e almeno in parte a quelli di ordine lavorativo) può benissimo far fronte il bravo operatore sociale. “Benissimo” è forse eccessivo, ma… può, sì che può! Bastano buone leggi e una burocrazia intelligente. Il problema nasce quando la richiesta, al di là della riabilitazione e del lavoro, è quella di venire accolto in una famiglia. La solitudine affettivo/familiare è un lato frequente nell’emarginazione da handicap. Sulla base di questo ragionamento, parafrasando il Vangelo (“Se ti chiede un pane non puoi dargli una pietra, se ti chiede un pesce non puoi dargli un serpente”), dovunque mi capitò di poter parlare in pubblico, presi a ripetere, ad onta della mia personale pochezza, quasi un antico refrain: “Se ti chiede una famiglia non puoi limitarti a dargli un servizio, se ti chiede calore umano continuo non puoi darglielo solo per i pochi giorni -belli, bellissimi, troppo belli- del pellegrinaggio a Lourdes”. Se ti chiede una famiglia, o gli dai una famiglia o abbi il coraggio di tacere. Non ingannare te stesso e lui, soprannominando famiglia quella che famiglia non è. Una sola cosa ti resta da fare, alternativa al silenzio: aprigli le porte di casa. Fallo entrare. Se hai le forze per farlo, tientelo con te per tutta la vita. Il programmino è di Isaia (58, 7): “Dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa propria i miseri senza tetto, vestire chi è nudo”. Giù la porta!! Con questo programmino secco ed essenziale sono nate le comunità di accoglienza. Credo che sia questo il top del volontariato. Antichissimo e fresco di stampa. Elementare, Watson!