Da qualche anno l’arrivo del Natale è preannunciato da luci poste nelle strade e dall’allestimento delle vetrine; ultimamente, complice la crisi, il Natale dei consumi è decisamente più fragile. Forse questa situazione diventa l’occasione per recuperare il significato interiore e quindi autentico della festa cristiana e della sua preparazione, l’Avvento. In questo tempo facciamo esperienza della vicinanza di Colui che ha creato il mondo, che orienta la Storia e che si è preso cura di noi giungendo fino al culmine della “condiscendenza” con il farsi uomo.
La liturgia ci conduce a contemplare il mistero grande e affascinante del “Dio con noi”, anzi del Dio che si fa uno di noi. Mentre i nostri cuori si protendono verso la celebrazione annuale della nascita di Cristo, la Chiesa orienta il nostro sguardo alla meta definitiva: l’incontro con il Signore che tornerà un giorno nello splendore della sua gloria. In ogni celebrazione eucaristica diciamo: “Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta”. La parola che riassume questo particolare stato, in cui si attende qualcosa che deve manifestarsi, ma che al tempo stesso si intravede e si pregusta è la “speranza”. L’Avvento è per eccellenza la stagione spirituale della speranza e in questo periodo tutto il popolo di Dio si rimette in cammino attirato dalla certezza che il nostro Dio è il Dio che viene e chiama gli uomini ad andargli incontro.
La speranza cristiana supera ogni altra. L’uomo ha nel succedersi dei suoi giorni molte speranze, più grandi e più piccole, diverse nei periodi della vita. Nella gioventù ci può essere l’attesa del grande amore, che dia un senso alla propria esistenza, poi, la ricerca di una professione, che dia stabilità alla vita o di un successo determinante. Quando, però, queste speranze si realizzano, appare con chiarezza che esse non erano in realtà il tutto. L’uomo avverte il bisogno di una speranza che vada oltre. Egli si rende conto che può bastargli solo qualcosa di infinito, qualcosa che sarà sempre più di ciò che egli possa mai raggiungere con le sue sole forze. Avverte il desiderio della speranza grande, verso cui si sente attratto.
“Questa grande speranza – scriveva Benedetto XVI – può essere solo Dio, che abbraccia l’universo e che può proporci e donarci ciò che, da soli, non possiamo raggiungere. Dio è il fondamento della speranza – non un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati sino alla fine” (Spe salvi, 31). Si comprende uno dei motivi per cui l’Avvento non solo è legato alla speranza, ma anche la fa crescere: questo tempo prepara ad accogliere Dio che diventa uomo con il desiderio di mostrare il suo grande amore.
Il ricordo, reso vivo ed operante, di quanto Dio un tempo ha fatto diviene incoraggiamento ad attendere nuovamente la sua venuta, senza distogliere l’attenzione dall’impegno per le realtà terrene. Anche queste devono essere sviluppate sotto il segno della speranza di un loro miglioramento e di una loro perfezione. La speranza grande sostiene ogni altra speranza e l’attesa della venuta del Signore alla fine dei tempi conduce a porre mete di cambiamento nella società. Il cammino verso il Regno passa attraverso il cammino tra le strade del mondo.
La virtù della speranza è forse la più difficile da custodire: Charles Péguy diceva che credere è facile, amare il proprio simile, pure, ma sperare è talvolta arduo. Per questo motivo la speranza è la “virtù bambina” che deve essere particolarmente amata e fatta crescere. Per muovere ancora l’uomo ha bisogno di raccoglimento e di preghiera.