Nella prima delle tre storie raccolte ne Il taglio del bosco di Cassola, il protagonista, Guglielmo, ferito da diversi eventi luttuosi, spera di dimenticarli nel lavoro pesantissimo che ha scelto, quello del tagliaboschi: impossibile, anche durante i cinque mesi spesi in Maremma, dove ha comprato un “taglio”; peggio ancora quando torna alla vita “normale”, alle frequentazioni di ogni giorno: il fatto è che la convivenza tra tutto e contrario di tutto ripropone ogni giorno il vuoto della vita.
Qualcosa del genere oggi è accaduto nella nostra storia repubblicana: la disaffezione verso la politica non aveva mai raggiunto livelli così drammatici, perché la politica non era mai caduta così in basso.
La speranza suscitata oggi in Italia da Renzi è grande ma provvisoria: il clima eroico-individualista, Renzi può cavalcarlo solo perché, doti di intelligenza politica del giovane leader a parte, vige un contesto che, provocato dalle pantegane, acriticamente demonizza i partiti a 360 gradi.
Io invece penso che è proprio dai partiti che bisogna ripartire. Nati come cinghia di trasmissione della volontà popolare alle istituzioni democratiche, i nostri partiti non hanno mai fatto questo loro dovere. Quando è andata bene, hanno trasmesso alle istituzioni, spesso malamente, a tozzi e bocconi, solo la volontà dei propri iscritti, mai quella del popolo: il “sottobosco” lo ha impedito.
Perché davvero, oggi, tra la gente e le istituzioni si frappone un sottobosco di soggetti che non sono quello che dicono di essere, e non fanno quello che proclamano di dover fare: associazioni dal profilo dubbio, consorterie vere e proprie, cooperative false, mafie criptate, tutte al servizio di interessi prepotenti che non guardano in faccia a nessuno e riescono a insinuarsi nelle pieghe di un organismo politico (la Regione, il Comune) che, per aver visto dilatare enormemente le proprie competenze, permette sempre più facilmente quei processi di mimetizzazione.
È così che ogni speranza di dialettica e di mediazione dei partiti fra volontà popolare e pubblici poteri è stata frustrata dalla auto-referenzialità, che occupa ogni spazio praticabile.
Contrariamente a quello che pensano e gridano in tanti, con la voce arrochita da una rabbia antica e comprensibilissima, io credo che dobbiamo dare soldi ai partiti. I soldi giusti: contati prima, uno per uno, e rendicontati poi, uno per uno. Che so io? Cinquanta euro per ogni riunione con la gente, una a Ponte S. Giovanni, una a Pianello, una a Ponte della Pietra, ognuna chiusa da una relazione dettagliata su quello che, adeguatamente sollecitata, vuole la gente di Ponte S. Giovanni, di Pianello, di Ponte della Pietra. È così che si forma il programma di un partito serio; naturalmente anche con altri contributi, di politici e di tecnici che però si condizionano tutti al riconoscimento della volontà della gente di Ponte S. Giovanni, di Pianello, di Ponte della Pietra.
Utopia? Certo, ma, rimodellata, è l’unica alternativa alla polvere che nasconde ladri e profittatori.