Il Sert sia centro di orientamento e non ‘stazione finale’ di chi si droga

Lettera aperta di don Pierino Gelmini, fondatore della Comunità Incontro

Stupore, meraviglia, indignazione, rassegnazione. Dopo trent’anni che lo Stato ha cominciato ad occuparsi di droga – la Comunità Incontro lo faceva già da dieci – questi sono i soli sentimenti che il nostro Paese riesce ad esprimere di fronte alla permanente morìa di giovani vite, come il caso più recente di Foligno, per quanto riguarda l’Umbria. Ma, politici, amministratori, governanti, dirigenti, direttori e operatori dei servizi pubblici continuano a tacere, o a fare confusione, su cosa è droga e su cosa essa produce sulla persona e nella società. Solo cronaca – spesso fuorviante – sui danni, sulle morti, su proposte assurde e peregrine: ammiccamenti a sperimentazioni pseudoscientifiche e pseudo-buonistiche, talvolta criminose, come l’ultima, quella torinese, delle “narcosalas” dove potersi “drogare assistiti dallo Stato”. Sembra quasi che si muoia di droga per colpa dello spacciatore disonesto o poco professionale, che va immediatamente individuato e perseguito, per lasciar lavorare quelli onesti, meglio se col patentino dello Stato! Per il resto, solo un silenzio che snerva, ed esaspera. Nessuno che dica chiaramente che la droga è solo e comunque morte; che, però, dalla droga si può uscire, ma ci vuole impegno, fatica e responsabilizzazione. Com’è possibile che si continui a fare la conta di quanti utenti vanno ai Sert (quasi fosse questo il risultato auspicabile!) e che poi li si dimentichi lì per anni e anni a fare la fila tra metadone, ospedale, lavori socialmente utili, naltrexone, ecc., fino al grosso reato o al buco fatale, senza un reale e significativo recupero di queste persone? E’ vero che non è facile, e che anche le comunità hanno i loro insuccessi. Ma molti ne escono a testa alta, e proprio a Foligno, dove si è verificato il caso più recente di morte per droga, la Comunità Incontro conta un numero significativo di ragazzi recuperati e che ora costituiscono un punto di riferimento (snobbato, purtroppo, dal servizio pubblico) con un loro gruppo d’appoggio. Perché una persona tossicodipendente deve andare necessariamente ad un Sert in cui non si crede ad un suo recupero possibile, anche se difficile, e non si parte subito in questa direzione indicandogli le vie maestre, dure ma efficaci, prima tra tutte la comunità? Il Sert è un servizio pubblico. Non può essere autoreferenziale e proporre solo se stesso, o chi gli regge il gioco del mantenimento, dell’assistenzialismo, del “servizio sportello”, del metadone o della sostanza (agonista o antagonista che sia! ma non “farmaco”, perché non può esistere un medicamento che cura un problema profondamente esistenziale) magari unito ad occasionali forme riduttive di partecipazione (come i lavori socialmente utili, la riduzione del danno, le corsie protette, ecc.) che sfiancano la persona, sfiniscono le famiglie, inducono all’accettazione della tossicomania come ad “uno stato di fatto e quasi di diritto”, che produce rassegnazione e anticipa la morte. Ora, la Comunità Incontro, invitata, parteciperà al prossimo (ennesimo!) convegno indetto dai Sert del ternano; ma, con lealtà e forza, dovrà ricordare a questi signori che dalla droga si può e si deve uscire, e che i Sert non sono stati istituiti per dare ai tossicodipendenti il metadone perché questi possano timbrare in qualche modo il cartellino o andare a fare i lavori socialmente utili, in attesa di un destino favorevole o avverso. Gente ridotta a vivere come cittadini al di sotto della serie B! Siamo addirittura al paradosso che una persona non risulta tossica e non può, quindi, chiedere aiuto se non è prima passata da loro. Allora può anche morire di overdose: “Noi non lo conosciamo; non l’avevamo in carico!”Non intendo con questo demonizzare il Sert, ma solo dire fermamente che per uscire dalla droga non si deve necessariamente passare solo attraverso di esso il quale, a sua volta, ha invece il dovere morale e tecnico di dire ai ragazzi che infilandosi nel tunnel del metadone, o cose simili, non ne usciranno. Vorrei cioè che il Sert fosse quello che deve essere: un centro di orientamento e non una stazione finale nella vita di una persona. Ogni giorno, arrivano da noi ragazzi che, ridotti a zombi, non ne possono più del metadone. Nessuno che al Sert abbia detto loro, in maniera chiara, convinta e convincente: “Tu dalla droga puoi uscire, e devi uscirne. Ti aiuteremo a cercare e ad affrontare la strada della libertà”. E invece no; li mettono in fila al loro sportello per offrire un surrogato istituzionalmente deprimente, alternativo all’offerta euforica dello sballo. Narcosalas e cose del genere servono solo a far parlare e ad ingannare, ma non saranno mai una risposta significativa. E le comunità non potranno mai accettare di trasformarsi, per supplire alla carenza di cliniche specializzate nel contenimento dorato dei ragazzi più avvantaggiati che, magari continuando a prendere metadone, vi vengono “ricoverati” dalle loro famiglie. Le strade, le piazze, i luoghi di lavoro e di divertimento, sono pieni di giovani e di ragazze “normali” che, soli in mezzo a tanta gente, svuotati di senso e di motivazioni, cercando nelle sostanze, fino allo sballo, evasione da una condizione insostenibile, finiscono in un binario morto. Hanno il diritto ad avere risposte, hanno il diritto ad essere aiutati a riprendere il cammino della vita.

AUTORE: Don Pierino Gelmini