Il governo Renzi ha ingaggiato la sua battaglia per la riforma costituzionale, che prevede fra l’altro la soppressione del Senato (o comunque una trasformazione tale che dell’attuale Senato resterà, se resterà, soltanto il nome). Prima di entrare nel merito delle proposte, vorrei ricordare che nell’Assemblea costituente che fu eletta il 2 giugno 1946 e concluse i suoi lavori il 27 dicembre 1947 c’era il meglio che l’Italia potesse allora esprimere: grandi leader politici, grandi uomini di cultura e di pensiero, illustri cattedratici, giovani brillanti che avrebbero fatto la storia nei decenni a venire. Ma lasciamo stare i confronti, veniamo a oggi. Chi vuole l’abolizione del Senato, o almeno del “bicameralismo perfetto”, dice di volerlo fare per una questione di “velocità” delle decisioni politiche. La scelta sarà anche giusta (se ne può discutere) ma l’argomento della “velocità” è sbagliato. Mettere insieme la volontà della Camera con quella del Senato non è mai stato un problema. Il problema vero è stato, dal 1948 in poi, mettere insieme la volontà dei partiti e partitini, correnti e correntine, che dividevano al loro interno l’una e l’altra delle due Camere. Ogni scelta, ogni legge, è sempre stata la faticosa mediazione fra spinte e interessi diversi, senza che al vertice ci fosse la chiarezza delle idee e la forza di volontà che occorreva per venirne a capo. A volte le scelte sono state dettate da infatuazioni ideologiche disancorate dalla realtà; altre volte sono state prese sotto l’incubo delle emergenze, per di più mutevoli da un anno all’altro. E anche adesso è così. È vero che l’impotenza e la pigrizia mostrate per decenni dalla classe politica fanno apparire, oggi, l’attivismo renziano come l’alba di una Nuova Era. Ma è un’illusione credere che i problemi accumulati per decenni si risolvano d’incanto in pochi giorni, solo perché al timone si è messo l’uomo giusto. Magari fosse possibile! Ma sarebbe una fortuna che non ci meritiamo.
Il Senato travolto dalla velocità
AUTORE:
Pier Giorgio Lignani