“Io credo in Dio perché alla fine metterà tutto a posto”. “Credo in Dio perché è l’unico che ha sempre ragione”. “A me quello che piace del cristianesimo è che dà un senso a tutto”. Sono alcune delle risposte che i ragazzi dai 19 ai 29 anni hanno dato a chi chiedeva del loro rapporto con la fede e con la religione. Le si trova della ricerca “Giovani e fede in Italia”, promossa nell’ambito del Rapporto Giovani, l’indagine nazionale dell’Istituto Giuseppe Toniolo in collaborazione con l’Università Cattolica.
Il rapporto, confluito nel volume Dio a modo mio (ed. Vita e Pensiero) a cura di Paola Bignardi e Rita Bichi, è stato presentato nei giorni scorsi. Grazie a questa ricerca emerge per la prima volta un quadro completo di che cosa rappresenti oggi la fede per la generazione dei millennials, ossia i nati tra il 1982 e il 2000. L’approfondimento ha coinvolto 150 intervistati, scelti sulla base di criteri scientifici da un team di docenti universitari, distribuiti tra nord, centro e sud Italia, tutti battezzati e appartenenti a due fasce di età: 19-21 anni e 27-29 anni.
Dalle risposte dei ragazzi emerge che tutti amano Papa Francesco, ma fanno fatica a capire il linguaggio della Chiesa, conoscono poco Gesù ma credono in Dio. Non vanno quasi mai a messa, ma ciononostante pregano a modo loro. “Per la prima volta abbiamo un quadro completo sul rapporto fra il mondo giovanile e la fede”, dice mons. Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’università Cattolica di Milano. “Dalle loro risposte viene fuori un dialogo intimo dei nostri ragazzi con Dio, che è molto presente nella loro vita, anche se con una percezione molto personale. Il rapporto dei giovani con la fede fa parte di un universo ancora inesplorato. Se la Chiesa vuole dialogare con le nuove generazioni, deve imparare a percorrere le loro strade, senza paura di ascoltare le loro opinioni”.
Dai percorsi di fede passando dalla Chiesa e i suoi linguaggi, fino al rapporto con le altre religioni: gli intervistati hanno parlato a 360 gradi, rivelando alcune costanti di pensiero. Molti hanno raccontato il percorso di iniziazione cristiana, mettendo in luce soprattutto la sua obbligatorietà. Frequentare il catechismo ha significato infatti l’apprendimento di regole e princìpi, e non è raro trovare chi critica questa attività perché la vede come una banale trasmissione di un sapere (“quello che dicono loro”) e una serie di regole da seguire. Attraverso le risposte dei ragazzi, appare poi fondamentale la figura del sacerdote: questa figura può diventare determinante nella scelta di rimanere nella comunità così come nel decidere di abbandonarla.
Molto interessanti sono anche le opinioni dei giovani sulle religioni. “Se il cristianesimo è considerato un’etica più che una religione (per i valori come l’amore, il rispetto e l’uguaglianza) – commenta la curatrice del rapporto Paola Bignardi – il cattolicesimo è sinonimo di istituzione. Il cattolico è percepito spesso come un praticante che non salta mai una messa, si confessa e fa la comunione seguendo fedelmente le indicazioni della Chiesa. Per molti ragazzi è una figura da cui prendere le distanze perché non autentica”. A dispetto di questo scetticismo, però, c’è anche la fiducia incondizionata verso Papa Francesco: la figura del Pontefice esercita sui millennials un fascino enorme “perché parla il linguaggio della semplicità”. In generale, le nuove generazioni di credenti presentano, a grandi linee, lo stesso “curriculum”. La prima comunione fatta più per obbligo che per scelta, la grande fuga dopo la cresima (“perché non ne potevo più”), nonostante i bei ricordi dell’oratorio. Fino a quando, verso i 25 anni, arriva il “ripensamento”, che il più delle volte conduce al ritorno verso la fede.