Il Punto – Immigrati usati come mezzadri?

L’emergenza degli incendi nei boschi, in estate, suscita riflessioni che si ricollegano a quelle provocate in altre stagioni da alluvioni, frane e simili calamità. C’è un fattore comune: l’abbandono del territorio agricolo e forestale, che fino a pochi anni era stato curato per secoli dal duro e paziente lavoro dei contadini. Queste dolenti riflessioni in genere approdano alla proposta di affidare i terreni agricoli dismessi agli immigrati africani, con il duplice scopo di dare a loro un lavoro e una casa (colonica), e di rimettere a nuovo, sul territorio, l’antica cura. Temo che si tratti di generose (?) illusioni.

Per cominciare, i nostri vecchi contadini non avevano solo le braccia, ma anche un antico patrimonio di saperi e di tecniche: chi di noi, oggi, sa di quali lavorazioni ha bisogno un campo di grano, prima e dopo la semina, e come e quando debbono essere fatte?. Ma il punto fondamentale è che solo gli over settanta, come me, hanno idea di quanto dure e spietate fossero le leggi economiche che legavano i contadini e le intere loro famiglie al poderetto che coltivavano come mezzadri o coltivatori diretti. Perché da quei campicelli precariamente terrazzati sul fianco delle colline, e da quei boschi che li contornavano, loro dovevano tirar fuori tutto, ma proprio tutto, quello che loro occorreva per sopravvivere.

Il cibo per sé e per i figli, ma anche quello per le bestie; le bestie che tiravano il carro e l’aratro, e quelle che fornivano il latte, le uova, la lana, un po’ di carne ogni tanto, e il concime per rendere più fertili i campi e i pascoli. Dal bosco veniva la legna per il camino, unica fonte di calore e di luce nei lunghi inverni e unico fuoco per la cottura dei pasti. Ecco perché tutti accorrevano quando scoppiava un incendio, perché si davano tanta pena per proteggere i pozzi e le sorgenti, regimare i fossi, riparare i muretti a secco dei terrazzamenti. Era in gioco la loro sopravvivenza, per quanto misera fosse. Non possiamo rimpiangere quei tempi con le durezze e gli stenti che comportavano. E non possiamo idealizzarli, tanto meno illuderci di ricrearli mettendo una zappa in mano a chi non ne ha mai vista una.

 

AUTORE: Pier Giorgio Lignani