Un lettore ci scrive rimproverandoci di essere schierati “in favore dell’immigrazione”, mentre lui, come fa capire, è contrario. Qui accanto potete leggere una risposta della Direzione. Per quello che mi riguarda – poiché ho toccato molte volte l’argomento – dico che ha ben poco senso essere “pro” o “contro” davanti a fenomeni di massa e planetari di questo tipo. Sono un prodotto della storia e dell’evoluzione delle condizioni materiali di esistenza, quelle che per lo storico Braudel sono la chiave di lettura della storia.
Il nostro lettore dice che se ci rifiutiamo di giudicare le migrazioni non potremmo giudicare nemmeno le guerre mondiali, visto che sempre di fenomeni storici si tratta. Non è così. Se studiamo la storia, vediamo che le grandi guerre sono scoppiate perché qualche governante ha deciso di farlo, senza che nessuno lo costringesse (anche se per propaganda Hitler diceva di essere costretto ad aggredire la Polonia, e Mussolini diceva di essere costretto ad aggredire la Grecia, tra l’altro facendoci la brutta figura che ha fatto).
L’emigrazione di legioni di derelitti dall’Africa e dalle regioni più povere dell’Asia non è stata decisa a tavolino da nessuno e non sarà una decisione presa a tavolino a fermarla – come non si può fermare un fiume con le mani. Mettiamo a confronto le condizioni di vita in Europa con quelle dei Paesi dai quali hanno origine i flussi. E aggiungiamo qualche altro dato oggettivo: primo, l’incredibile crescita demografica di quei Paesi. Secondo, la facilità e la diffusione delle telecomunicazioni, grazie alle quali i “derelitti” sanno, e vedono con i loro occhi, quanto diverso è il mondo. Terzo, la possibilità materiale di spostarsi con i mezzi più vari, mentre i divieti legali si rivelano alla fine impotenti. Specialmente se il migrante non ha nulla da perdere e preferisce rischiare la morte piuttosto che rimanere (come i tedeschi dell’Est che fuggivano all’Ovest).
Sono problemi che non si risolvono con un editto e neppure mettendo i carri armati alla frontiera. Bisogna invece studiare con pazienza – ma senza perdere tempo – come riorganizzarci in modo da salvare il nostro benessere, e però garantirlo anche agli altri. È difficilissimo. Ma è l’unica cosa da fare.