Hanno fatto discutere i casi di due giovani donne, entrambe morte in brevissimo tempo perché, malate di tumore, avevano rifiutato le cure usuali e avevano scelto un metodo “alternativo” bocciato dalla scienza ufficiale. Chi approva la scelta delle due sventurate richiama la libertà di decidere se curarsi e come curarsi, che è garantita anche dalla Costituzione. Qui bisogna fare un po’ di chiarezza. Una cosa è la posizione di chi dice: “Rifiuto questa cura perché si sa con certezza che mi farà soffrire molto, mentre non è affatto certo che mi farà guarire; poi se devo morire, sia”. Tutt’altra cosa è la posizione di chi dice: “La medicina ufficiale è un imbroglio, io sono più furbo degli altri e mi faccio curare con il metodo portentoso del Dottor Y”.
Nel primo caso, lo Stato non può che rispettare la scelta del paziente. Nel secondo, ha il dovere di spiegare a tutti che il metodo Y viene rifiutato dalla scienza ufficiale non a motivo di loschi interessi o di pregiudizi ideologici, ma semplicemente perché, messo alla prova con rigore scientifico, non ha dato risultati. L’unico pregiudizio (se lo vogliamo chiamare così) della scienza ufficiale è che la verità di una teoria deve essere dimostrata con il metodo sperimentale. Tutto quello che supera la prova della sperimentazione, viene accettato. Le medicine alternative non la superano. Oggi va di moda disprezzare la medicina ufficiale con l’argomento che fa morire le persone lo stesso. Ma chi parla così non sa o non ricorda come andavano le cose solo pochi decenni fa. Quando ero bambino, ancora la gente moriva di tetano, mentre alcuni miei coetanei venivano resi invalidi dalla poliomielite; poi sono venuti i vaccini.
E non parliamo di innumerevoli malattie infettive come la malaria, il vaiolo o la tubercolosi, che un tempo facevano stragi. Certo, i mezzi umani, per quanto perfezionati, non potranno mai eliminare il dolore e la morte dall’orizzonte terreno. Ma non ci si può far beffe della scienza e della medicina scientifica, che fanno tutto quello che possono. Resta poi il dovere di alleviare le pene dei sofferenti con la carità, e su questo ci si può ispirare a Madre Teresa.