In occasione del “giubileo dei carcerati”, il Papa ha suggerito ai governanti un provvedimento di clemenza in favore dei detenuti che se lo meritino. Una espressione, direi, piuttosto generica e probabilmente non riferita direttamente al caso italiano. Che cosa intendo per “caso italiano”? Sulla carta, la legge sull’ordinamento carcerario, proposta nel 1975 dal deputato cattolico (ma non democristiano) Gozzini è una delle più avanzate del mondo. Si può dividere in due parti. La prima riguarda la vita dei detenuti e spiega molto bene come debbano essere garantiti i loro diritti, la loro dignità e quella che si usa chiamare la loro rieducazione, attraverso il lavoro, lo studio, il reinserimento nella vita sociale.
La seconda parte riguarda i meccanismi premiali, ossia i progressivi sconti di pena e benefici vari (permessi premio, ammissione a misure alternative alla detenzione, eccetera) per i detenuti che si mostrano ben orientati sulla strada del reinserimento. Sia nella prima che nella seconda parte la legge è ispirata ai princìpi umanitari, e in linea con il precetto costituzionale per cui la pena deve tendere alla rieducazione del reo. Benissimo. Ma c’è un problema. In concreto, la legge Gozzini è applicata puntualmente (secondo alcuni sin troppo) nella sua seconda parte, quella degli sconti di pena; tanto che per le condanne sino a tre-quattro anni in pratica non si sconta neanche un giorno e per le altre la durata effettiva si riduce circa alla metà.
Senza contare che già in partenza le sentenze di condanna – quando ci si arriva – sono assai blande. La prima parte, quella che riguarda le condizioni di vita del detenuto e i suoi diritti, è un cimitero di promesse non mantenute, a cominciare dalla piaga del sovraffollamento delle celle; il che fra l’altro non è un buon modo per insegnare il valore della legalità. Il fatto è che concedere uno sconto di pena non costa nulla; garantire una vita dignitosa a chi sta dentro costa tanto. Così ci si scontra con l’eterno problema italiano del deficit, del debito pubblico, dei mille doveri dello stato sociale e delle risorse che non bastano mai. Ma rinunciare a punire i delitti perché non si hanno i soldi per farlo non è una soluzione.