Papa Francesco andrà in Egitto per due giorni alla fine di aprile. In Egitto i cattolici dei vari riti sono in tutto 300 mila su 90 milioni di abitanti, una goccia nel mare. Ma questa visita assume una straordinaria importanza simbolica. Normalmente un Papa va in visita in un Paese per incontrarsi con la comunità cattolica locale, ma è necessario che abbia il gradimento anche del Governo. Se poi c’è la forte presenza di una Chiesa cristiana non cattolica, ci vuole il gradimento anche di quella (per esempio, il Papa non va a Mosca perché il Patriarca ortodosso non gradisce).
In qualche caso il “gradimento” prende la forma di un vero e proprio invito, per sottolineare l’importanza che all’incontro dà l’invitante, sia esso il Governo o il capo religioso non cattolico. Nel caso dell’Egitto, il Papa ha ricevuto l’invito, oltre che dei cattolici egiziani, anche del Capo dello Stato e del “Papa” (Patriarca) della Chiesa copta. Ma questa volta – e questo è veramente fuori dell’ordinario – c’è anche un quarto invitante, ed è la più alta autorità religiosa musulmana (sunnita) dell’Egitto, il rettore dell’antichissima università coranica Al Azhar e grande imam della omonima moschea, Muhammad al-Tayyb.
Sappiamo che l’islam non ha una vera e propria gerarchia, e per di più è diviso fra sunniti e sciiti, e altri ancora; quindi al-Tayyb non rappresenta l’islam nel suo insieme, e sicuramente il sedicente Califfo dell’Isis (che pure è sunnita, ma del sotto-gruppo salafita) lo considera un traditore. Tutto questo non toglie che l’atteggiamento amichevole di al-Tayyb verso Francesco – e viceversa – sia di straordinaria rilevanza. Tra l’altro, è una forte indicazione perché lo stesso clima di rispetto e amicizia diventi la regola nei Paesi di tradizione cristiana interessati dall’immigrazione, e in quelli di tradizione islamica dove le minoranze cristiane sono discriminate per non dire represse o perseguitate. Auguriamoci che il buon esempio faccia strada.