Il Vangelo di questa domenica ci fa superare il rischio dell’“assuefazione” all’immagine del Crocifisso: per poter arrivare a una professione di fede sincera e convinta in Cristo come unico Signore e Salvatore, dobbiamo prima passare per lo scandalo della croce, al quale non dovremmo assolutamente mai abituarci.
Il Vangelo riporta come il primo a scandalizzarsi della croce fu lo stesso Simon Pietro, il primo dei Dodici: quel giorno a Cesarea di Filippo, illuminato dall’Alto, aveva appena riconosciuto e proclamato Gesù come Messia: “Tu sei il Cristo”. Ma Gesù, che conosce bene il cuore dell’uomo, sa anche bene che la gente ha altre aspettative, che vuole cioè un Messia rivoluzionario, che rimetta in piedi il regno terreno di Davide! Per questo, chiede di non diffondere la notizia sulla sua vera identità.
Nello stesso tempo, al gruppetto dei seguaci cerca di far capire apertamente il cammino e la fine che lo aspettano: sofferenza, rifiuto, croce. Ma anche i Dodici, Pietro compreso, non erano pronti all’impatto. La risposta di Pietro – “Tu sei il Cristo, cioè il Messia” – alla domanda del Maestro: “Ma voi chi dite che io sia?”, era teologicamente corretta, e come tale era stata approvata e solennemente ratificata da Gesù stesso. Purtroppo, quella risposta in bocca a Pietro partiva da una premessa ambigua.
Il ragionamento di Pietro era più o meno questo: “Il Messia è un vincitore. Gesù è il Messia. Dunque non può morire in croce, non può per nessuna ragione venire sconfitto dai suoi avversari”. Invece Gesù si presenta come un Messia totalmente diverso rispetto alle attese correnti di cui Pietro si era fatto portavoce. Gesù è il Messia proprio perché non è come un re di questo mondo; non è venuto in mezzo a noi come un sovrano assetato di potere, smanioso di troni e di allori, accanitamente bramoso solo di essere servito e riverito.
Anzi, si è spogliato della sua gloria e ha assunto la condizione di servo, il “povero servo del Signore” che vuole fermamente ed esclusivamente servire e dare la vita per salvare i fratelli, in totale obbedienza alla volontà del Padre. La vita di Gesù è stato un continuo “sì” a Dio e un “no” al Tentatore. Egli visse nell’obbedienza e preferì il ragionamento di Dio al ragionamento degli uomini.
Gesù di Nazareth è venuto per evangelizzare i poveri, e per questo si è fatto lui stesso povero. La sua missione però non consiste nel trasferire il potere dai ricchi ai poveri, o dai romani a un salvatore nazionale. L’idea di questo Messia assolutamente inedito è inaccettabile per l’immaginario collettivo: nemmeno Pietro riesce ad accettarla. E non sarà facile metabolizzarla nemmeno per i primi cristiani: la croce suscitava orrore per i pagani – che la consideravano la giusta pena per gli schiavi ribelli – e provocava scandalo per gli ebrei, che ritenevano maledetto chi ci andava a finire.
Ma neanche noi possiamo dare per pacifica e del tutto scontata la scelta della croce per Cristo e per i cristiani. Proviamo allora a confrontare la nostra vita di singoli e di famiglie, di consacrati e di comunità parrocchiali con le tre richieste che Gesù presenta a chi vuole essere suo autentico discepolo. Si tratta di richieste che ci interpellano con forza se vogliamo essere suoi seguaci.
Primo, “rinneghi se stesso”. Il verbo greco usato dall’evangelista Marco significa negare con forza, rigettare decisamente, rifiutare ogni interessato coinvolgimento personale. Perciò si può tradurre quel “rinneghi se stesso” con “smetta di pensare solo a se stesso”, o “non metta al centro se stesso”, esca dal suo egoismo-egocentrismo!
Secondo, “prenda la sua croce”. Non si tratta di cercare la sofferenza e la morte, bensì la fedeltà – una fedeltà radicale – e la solidarietà – una solidarietà a tutta prova, anche al prezzo più alto, quello della vita. Gesù infatti non ha ricercato la croce “per la croce”, ma ha vissuto tutta la sua vita facendosi carico dell’umanità più povera e sofferente. Ha trasformato la violenza ingiustamente inflittagli in amore incondizionatamente offerto, un amore che si dona e che perdona “a fondo perduto”.
La terza richiesta riguardante il discepolo è “mi segua”. Alla lettera il detto di Gesù si traduce così: “Se qualcuno vuole seguire, dietro di me”, espressione severa, che praticamente ripete due volte la stessa idea (seguire dice già andare dietro!). L’evangelista rimarca il fatto che la sequela del discepolo è un effettivo camminare vicino e dietro a Gesù, ricalcando fedelmente le sue orme. Davanti e a fianco al discepolo non c’è dunque una nuda croce, una generica richiesta della sofferenza, quanto piuttosto una persona: il Crocifisso. Non è tanto la croce che rende il Crocifisso degno di essere seguito, ma è piuttosto il Crocifisso che rende la croce degna di essere abbracciata.