Il prezzo del riscatto

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Giulio Michelini XXIX Domenica del tempo ordinario - anno B

Il Vangelo di oggi, anziché partire da dove inizia il lezionario, deve essere compreso alla luce dei tre versetti che lo precedono, e che purtroppo sono stati espunti dalla liturgia: “Mentre erano in viaggio per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano stupiti; coloro che venivano dietro erano pieni di timore. Prendendo di nuovo in disparte i Dodici, cominciò a dir loro quello che gli sarebbe accaduto: ‘Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi: lo condanneranno a morte, lo consegneranno ai pagani, lo scherniranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno; ma dopo tre giorni risusciterà'”. Siamo ancora nel contesto dell’annuncio della passione, questa volta il terzo, all’interno del cammino che Gesù ha iniziato per arrivare fino a Gerusalemme.

A partire dalle parole di Gesù sopra riportate, si comprende allora tutta la scena del brano odierno, che, come abbiamo già visto anche recentemente, è elaborata secondo uno schema di: a) predizione della Passione; b) incomprensione dei discepoli; c) ulteriore insegnamento di Gesù sull’essere suoi discepoli. Questa volta l’incomprensione dei discepoli si manifesta a riguardo della loro carriera nel futuro regno di Dio: “In una società in cui il grado e l’onore contavano assai, i discepoli di Gesù vogliono sapere la loro posizione nella scala gerarchica (vedi 9,33-37) e il posto che potranno occupare nel regno (10,35-40). Ma le risposte che ricevono da Gesù in 9,33-37 e 10,41-45 servono solo ad evidenziare quanto grossolanamente essi lo abbiano frainteso” (J.R. Donahue – D.J. Harrington, Il Vangelo di Marco, Elledici 2006).

Egli risponde infatti parlando del suo speciale servizio che porterà avanti per il bene di tutti: quello del “dare la vita in riscatto per molti” (v. 45). Su questo detto di Gesù ci soffermiamo, perché esso “offre la chiave per l’interpretazione del passo e dell’intero Vangelo di Marco” (ibid.). Gesù parla del dono della sua vita come “riscatto” (in greco lytron). Questa parola si trova solo qui e nel parallelo di Matteo: “Colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo; appunto come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti” (Mt 20,28). Liberiamoci subito da un inconveniente. Nel linguaggio attuale, la parola “riscatto” viene spesso associata al prezzo per liberare una persona rapita e tenuta prigioniera. Possiamo partire da questo significato, ma per tornare al senso teologico di questa espressione, usato anche da Gesù per interpretare l’evento futuro della sua morte. Per capire cosa si riteneva nell’ambiente di Gesù a proposito dell’idea di riscatto, possiamo vedere un paio di esempi tratti dall’apocrifo Quarto libro dei Maccabei, un testo della prima metà del I secolo d.C. in cui si parla del martirio di alcuni ebrei sotto il tiranno Antioco IV Epifane (175-164 a.C.).

Il primo ad essere narrato è quello del sacerdote Eleazar; questi, appena poco prima della morte, alzando gli occhi a Dio dice: “Signore, tu sai che avrei potuto essere salvo [rinnegando la mia fede], ma muoio nei tormenti per la Torah. Abbi pietà del tuo popolo, e fa’ che la mia condanna sia a loro giovamento. Fa’ che essi siano purificati mediante il mio sangue, e prendi la mia vita in riscatto per loro” (6,27-29). La stessa cosa viene detta dalla madre dei sette figli, il cui martirio è narrato invece nel libro biblico 2 Mac 7, e commentato nel medesimo apocrifo affermando che “la loro vita è stata data in cambio del peccato della nazione” (17,21). Un esempio ancora più importante si trova nella figura del Servo sofferente di cui parla il profeta Isaia. Egli era colui che si sarebbe addossato le nostre “malattie” e “infermità” (così nel testo ebraico, idea ripresa anche da Mt 8,17) o, nella traduzione della LXX, dei nostri “peccati”, come troviamo – in modo analogo – anche nella Prima lettera di Pietro: “Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia” (2,24).

Così scrive Isaia: “Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti” (Is 53,4-5). I cristiani, dopo la morte di colui che avevano riconosciuto come Messia, hanno tentato in tanti modi di interpretare in senso salvifico quel tragico fatto, utilizzando, come insegna il Catechismo degli adulti della Cei, linguaggi diversi. Tra questi (sacrificio, espiazione, soddisfazione, merito), vi è proprio quello del “riscatto”; esso – continua il catechismo – “significa che l’opera della liberazione è stata onerosa per Cristo; non che egli abbia pagato il prezzo a Dio come a un creditore esoso. Anzi l’iniziativa parte proprio dall’amore di Dio ed è assolutamente gratuita, come la liberazione dall’Egitto” (254). Quel linguaggio, che anche Gesù ha usato paragonandosi al Servo sofferente, funziona ancora: esprime un grande amore, quello per il quale il Padre ha mandato il Figlio, fino al punto da permettere che morisse per noi.

AUTORE: Padre Giulio Michelini