Il pianeta ha il mal d’auto

Scrivo queste righe di ritorno da una mattinata passata all’ospedale di Perugia per esami di controllo (tutto normale, grazie).

Non so quante persone ci vadano ogni giorno, ma credo migliaia, sommando quelli che ci vanno per lavorare (medici, infermieri, ausiliari, addetti ai servizi, tecnici, impiegati) e quelli che ci vanno per farsi curare oppure visitare negli ambulatori specialistici; più i familiari dei ricoverati; e ancora gli studenti di Medicina, e altri ancora. Nemmeno uno di tutti questi ci va a piedi, e non potrebbe neanche volendo: per le distanze e anche perché, visto il tipo di strade, chi ci provasse finirebbe travolto come un gatto in tangenziale.

Il risultato è che all’ora di punta rigurgitano di macchine parcheggiate non solo gli sterminati piazzali ma tutti i viali, vialetti e marciapiedi, le aree verdi, i bordi delle strade di accesso. Io, virtuosamente, ci sono andato in autobus, con una linea che parte dal centro città e attraversa alcuni quartieri residenziali. Bene: all’arrivo eravamo in due, tre con l’autista. Perché ormai tutti, dovunque debbano andare, ci vanno con la propria macchina. E se non possono andarci in macchina, non ci vanno. Questo, dal punto di vista dell’interesse collettivo, è un problema serissimo.

Ha cambiato il volto delle nostre città, svuotato i centri storici e incentivato lo sviluppo di sconfinate periferie, con il conseguente deterioramento dei rapporti umani e sociali. Questi sono gli effetti a piccolo raggio; quelli a raggio più ampio sono terrificanti, perché si parla dell’inquinamento ambientale, del riscaldamento globale e dei mutamenti climatici.

I nostri motori funzionano bruciando derivati del petrolio ed emettono gas altamente inquinanti. Dal punto di vista chimico, il combustibile più pulito sembrerebbe il metano, perché la sua combustione produce solo vapore acqueo e anidride carbonica, entrambi apparentemente innocui.

Ma dal punto di vista fisico, l’anidride carbonica (CO2) è uno dei responsabili dell’effetto serra. Quest’ultimo, finché rimane entro certi limiti, è una condizione essenziale per la vita sulla Terra. Se però li supera – e ora si avvia a farlo – la distruggerà. Camminiamo, gente, camminiamo.