Il perdono è l’unica esperienza di salvezza che noi uomini, creature fragili e imperfette, possiamo sperimentare sulla Terra”. Così Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose, ha descritto questo “grande mistero cristiano” al nutritissimo pubblico venuto ad ascoltarlo venerdì al teatro delle Stuoie della Domus Pacis di Santa Maria degli Angeli, in occasione della Festa del Perdono di Assisi. Inserendosi tra due uomini che non portano solo lo stesso nome, ma anche lo stesso messaggio evangelico di carità – Francesco d’Assisi che volle questa solennità e l’attuale Pontefice – Enzo Bianchi ha ribadito con forza che l’unica cosa di cui l’uomo ha bisogno è la misericordia e che un uomo resta prima di tutto un uomo, nonostante il male commesso e a prescindere dal male commesso. “Nessun uomo è il Male – ha sottolineato -, ma è una creatura di Dio che ha inferto del male a sé o agli altri in un determinato momento della sua vita. Proprio per questo Dio ci ama gratuitamente, senza bisogno di meriti, in una scandalosa simultaneità per cui ci ha già perdonati quando ancora noi siamo peccatori e non abbiamo chiesto l’assoluzione”.
Un’esperienza esclusivamente divina, quindi, e umanamente irraggiungibile quella del perdono? Tutt’altro. Enzo Bianchi ribadisce più di una volta la necessità di passare da un perdono “vissuto solo a livello personale ad una virtù richiesta ad un’intera comunità, così da sviluppare un’etica e una cultura del perdono” che, fattivamente, si trasformino “in una politica in ambito sociale e giuridico”. “La giustizia umana – spiega Enzo Bianchi – è necessaria per regolare il vivere sociale, ma solo il perdono sa ridare ad un uomo la sua dignità e sa farlo ricominciare come creatura nuova”.
Ma Bianchi risponde anche alla domanda delle domande con estrema semplicità e chiarezza: perché l’uomo è portato a fare del male? “Nel profondo del nostro essere, nelle nostre vene e nelle nostre cellule – dichiara il priore – siamo degli animali e, come tali, quando subiamo un torto, reagiamo secondo il nostro istinto di conservazione che vuole farci vivere ad ogni costo; per questo, siamo portati a difenderci e a rispondere con la vendetta. Ma il Male è come un virus che ci infetta e, alimentato dall’ ‘occhio per occhio, dente per dente’, diventa una malattia e poi un’epidemia. L’unico interruttore, l’unico antidoto capace di interrompere questa spirale di violenza e dolore è il perdono”. Come farlo? Senza dimenticare il torto o forzare il dolore, ma “imponendosi un iniziale e forzoso atto di rinuncia alla rabbia e alla vendetta, coadiuvato dalla lucida analisi dell’altro, che è sempre più grande del peccato che ha commesso. Poi affidandosi a Dio per chiedere con tutta la forza necessaria il vero e completo perdono, che solo da Lui può arrivare”.