La visita di Papa Francesco in Sud Sudan insieme all’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, primate della Comunione anglicana, e al pastore Iain Greenshields, moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia, è un segno di speranza forte e inequivocabile. D’ora in poi, almeno i cristiani di quella parte di mondo non potranno accampare le fortissime divisioni etniche presenti nella giovane nazione, come motivo di conflitto. I cristiani sanno di essere fratelli.
Anzi, fratelli e sorelle di tutti. Anche dei non cristiani. Il Sud Sudan che ha raggiunto l’indipendenza nel 2011, dopo quasi 30 anni di guerra, nella sola capitale Juba conta 50 gruppi etnici. Le donne hanno una media di 5/6 figli e l’aspettativa di vita non raggiunge i 60 anni di età. In questo Paese più di due milioni di bambini portano i segni della denutrizione e più della metà della popolazione soffre la fame. Non c’è accesso all’acqua e l’elettricità raggiunge sì e no il 4-5% della popolazione.
La visita di Papa Francesco è attesa con la commozione di chi sa di abitare la periferia delle periferie del mondo ma che, proprio per questo, è al centro del cuore e del sogno di Dio. Ed è lui che ci chiede di non dimenticare e non voltarsi dall’altra parte.