Le visite papali ad Assisi ormai non si contano. E ognuna ha la sua fisionomia. Ma la visita di Papa Francesco ha qualcosa che tutti sentiamo “singolare”. Se non altro, perché è il primo Papa con il nome stesso del Santo assisano. Scelta fatta con precisi motivi, ormai ben noti, ma che si vanno enucleando sempre di più, nelle parole, nei gesti del Papa, e nella reazione collettiva alla sua personalità.
Che cosa sarà l’odierna giornata? Che cosa ci lascerà? Lasciamo agli storici di domani il racconto e le valutazioni. Peraltro, chi potrà leggere nel segreto delle coscienze? “Storia” di Dio nella storia degli uomini.
Come vescovo di questa Chiesa davvero privilegiata, vivo la grande emozione che si può ben immaginare.
Al Papa, che ho avuto ormai modo di incontrare ripetute volte, desidero dire il gran bene che gli vogliamo, il grazie più cordiale per la sua visita, ma anche per tutto ciò che sta dando alla Chiesa.
Non sono che sei mesi di pontificato, ma sono stati sei mesi che ci hanno entusiasmati. Senza nulla togliere alla grandezza dei Papi che lo hanno preceduto, ciascuno grande nel suo stile e nel suo contesto, questo Papa venuto “dalla fine del mondo”, come si espresse nelle prime battute alla loggia della basilica vaticana, ci ha colpiti tutti. Ci ha colpiti come figli della Chiesa. Ma è impressionante quanto abbia toccato i cuori di persone di altre fedi o di nessuna fede.
Gli chiesi di spiegarmi, in un incontro preparatorio, ciò che si riproponeva con questa visita. Mi disse con semplicità: vengo per Francesco, per visitare i suoi luoghi, ma insieme per incontrare la gente. In questi mesi ci ha mostrato la sua capacità di “incontrare”, di guardare negli occhi, di farsi vicino a ciascuno. Il popolo di Francesco, quello di Assisi, e, più largamente, dell’intera Umbria, esulta in un coinvolgimento che mi auguro ricco di frutti.
Ho l’onore di accompagnare il Papa lungo tutte le tappe della visita. Vedremo. Il bilancio spirituale verrà dopo.
Ma intanto c’è un messaggio inscritto già nel percorso che il Papa ha scelto. Chi lo ha letto con attenzione, ne ha visto subito il carattere innovativo, in qualche punto persino provocatorio.
Ma non fu “provocatoria” tutta la personalità, e l’avventura, del Santo di Assisi? Quando il mio predecessore Guido lo accolse in vescovado e si ritrovò davanti al gesto clamoroso della sua “spogliazione”, dovette avere appunto questa sensazione. Una “provocazione” che, attraverso il giovane figlio di Pietro di Bernardone, veniva a lui, alla Chiesa, al mondo. Dentro quel gesto c’era una ribellione, ma insieme una profezia. C’era il racconto di un futuro tutto da scrivere. Una “ricetta” soprannaturale per una storia che tende sempre al pragmatismo, e invece ha bisogno più che mai dell’utopia. Dell’utopia di una fraternità che si possa toccar con mano, come nella prima comunità cristiana, come nelle prime comunità francescane.
Credo questo voglia dirci Papa Francesco, proponendoci una visita in cui non mancano, va da sé, i luoghi “classici’ del francescanesimo – dalla basilica di San Francesco alla Porziuncola, da San Damiano a Santa Chiara, fino all’eremo delle Carceri e alla cattedrale di San Rufino – , ma quello che emerge, esattamente come nella vita e nel Testamento di Francesco, è la scelta preferenziale per i poveri e per il tema della povertà. È l’accento che si nota fin dal primo incontro con i disabili all’Istituto Serafico, nella visita – prima volta di un Papa – alla sala della Spogliazione in vescovado, nel pranzo con i poveri al Centro di prima accoglienza di Santa Maria degli Angeli.
Un solo triplice “marchio” ideale posto su una giornata straordinaria. Una visione del mondo e della Chiesa. Un invito a uscire da un cristianesimo di comodo e da un francescanesimo “oleografico” per misurarci con la provocazione evangelica del nostro Santo e farla rivivere, come utopia possibile, nella Chiesa di oggi. Forse i giovani che lo aspettano tanto numerosi a conclusione della giornata saranno i più disposti a capirlo. E come non fare a loro l’augurio che questa giornata segni la loro vita?