Papa Francesco, a sorpresa, ha scelto Lampedusa come meta del suo primo viaggio da Pontefice, per incontrare i migranti, lui figlio di migranti italiani in Argentina, e le comunità di Lampedusa e Linosa.
Come non leggere in filigrana in questa scelta del Papa quelle parole dette da cardinale in una delle Congregazioni generali prima del Conclave e riferite in un’omelia dal card. cubano Jaime Lucas Ortega y Alamino: “La Chiesa è chiamata a uscire da se stessa e a dirigersi verso le periferie, non solo quelle geografiche ma anche quelle esistenziali: quelle del mistero del peccato, del dolore, dell’ingiustizia, quelle dell’ignoranza e dell’indifferenza religiosa, quelle del pensiero, quelle di ogni forma di miseria. Quando non esce da sé per evangelizzare diviene autoreferenziale e si ammala”.
E Lampedusa è certamente periferia geografica, lembo estremo dell’Europa, ma anche periferia esistenziale, luogo di approdo di un’umanità in fuga da terre sfruttate ingiustamente e nell’indifferenza più totale dell’Occidente “epulone” che non si accorge dei tanti “Lazzaro” che bussano e muoiono alla sua porta.
Il viaggio del Papa è un indice puntato che ricorda alle nostre coscienze civili e cristiane che i morti in mare ci interpellano, ci riguardano, e non possono lasciarci indifferenti.
Ma il Papa ha scelto di “uscire” dalle mura del Vaticano per evangelizzare. Si reca a Lampedusa non per trovare soluzioni politiche all’annoso fenomeno dei migranti – anche se la Chiesa agrigentina e italiana, più volte e in diverse occasioni, ha chiesto con forza di coniugare la legalità con il rispetto della dignità umana e l’accoglienza – ma per dire, proprio da Lampedusa, che un’accoglienza e una convivenza diversa è possibile. Che accanto alla professione di fede in Dio bisogna formulare l’atto di fede nell’uomo.
Per dire – lì dove speranza e disperazione si materializzano nel volto di questi fratelli soccorsi in mare – che ai segni del potere bisogna contrapporre “il potere dei segni” che la comunità isolana profeticamente ha mostrato, all’Italia e al mondo, in decenni di accoglienza e, in particolare, nei giorni dell’emergenza del 2011 quando, prima e meglio delle istituzioni, ha saputo incarnare la pagina del Vangelo: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare, ero nudo e mi avete vestito, straniero e mi avete accolto…”.
Ma il contorno entro cui s’iscrive la visita del Papa è certamente quello dell’apostolo che va con in mano solo il Vangelo. Il Papa, toccato dalla tragedia umana dei migranti, va a Lampedusa per pregare per coloro che hanno perso la vita in mare, visitare i superstiti e i profughi presenti sull’isola e incontrare la comunità ecclesiale: entrambi periferia geografica ed esistenziale di un’Europa e di un’Italia che tante, troppe volte, hanno girato la testa altrove per non vedere o non sentire, e che continuano a trattare il fenomeno dei migranti in modo emergenziale, quando in realtà gli sbarchi sono ormai un fenomeno fisiologico che merita bene altre attenzioni e politiche nazionali, ma soprattutto europee, organiche e corresponsabili.
L’avere scelto Lampedusa è già un messaggio forte e chiaro per la Chiesa e se, per assurdo, il Papa non dovesse proferire parola, basterebbe il semplice fatto di averla scelta e visitata per ricordare alla Chiesa che essa è prolungamento di Cristo nella storia.
Dagli estremi confini d’Italia e d’Europa, mentre altrove “pezzi di Chiesa ammalata” di carrierismo e affarismo, collusi con i potenti di questo mondo scandalizzano, nel cuore del Mediterraneo, Papa Francesco lancia un salvagente alla Chiesa, a cui aggrapparsi per non affondare: la scelta preferenziale al servizio dei poveri e degli ultimi.
Eventi della giornata
L’8 luglio Papa Francesco arriverà poco dopo le ore 9 a Lampedusa, raggiungerà quindi Cala Pisana da dove s’imbarcherà per raggiungere via mare il porto dell’isola. Al largo, lancerà in mare una corona di fiori in ricordo di quanti hanno perso la propria vita in mare. Le vittime dei “viaggi della speranza” sono oltre 19 mila dal 1988 ad oggi. Alle 10 è prevista la messa nel campo sportivo “Arena” per gli immigrati e la popolazione locale. La notizia del viaggio apostolico è giunta inaspettata, ma l’invito era partito dalla comunità cattolica dell’isola, che a marzo gli scrisse una lettera nella quale chiedeva al Papa di “farsi pellegrino in questo santuario del creato, dove per migliaia di migranti, senza patria e senza nome, è rinata la speranza del domani nella certezza amica dell’oggi”.