Ci sono confini che sembrano barriere fortificate dal pregiudizio, e che impediscono l’incontro e la conoscenza serena di situazioni e, soprattutto, di persone. Invalicabile sembra essere la frontiera del carcere, che in molti vorrebbero “discarica sociale” delimitata e chiusa. Al contrario, le persone detenute sono parte della nostra comunità sociale e, talvolta, ne sono il prodotto, la conseguenza, il risultato meno riuscito.
La Costituzione assegna al carcere una finalità rieducativa: quelle stesse persone ritorneranno a far parte a pieno titolo del mondo dei liberi. A tenere in vita quella speranza ci provano le tantissime iniziative di giustizia riparativa, esecuzione alternativa e inserimento lavorativo.
Tra le cooperative e le realtà che accompagnano progetti di questo tipo, in carcere e fuori, ce ne sono alcune impegnate nella produzione di alimenti e hanno nomi evocativi. Provo a elencarne qualcuno nella speranza di stimolare la curiosità di conoscerle e – chissà – acquistare qualcosa di buono da mangiare: Panettone Maskalzone (Idee in fuga, Alessandria), SemiLiberi (L’Ovile, Reggio Emilia), Semi di libertà (Orto, Viterbo), A mano libera (Senza sbarre, Andria), Cotti in fragranza (istituto minorile Malaspina, Palermo). Tutti rigorosamente “made in carcere” e dintorni.