Con il Vangelo di questa domenica continua la grande catechesi di Gesù dopo il “segno” dei pani e dei pesci. La folla da una parte attende da lui altro pane, dall’altra mormora perché egli afferma di essere il “pane vivo disceso dal cielo”. La mormorazione è il tipico atteggiamento dei “cuori induriti”, che non vogliono accettare la logica di Dio.
È il mugugno ostile di chi non permette a Dio di essere Dio, e pretende anzi di imporgli i propri schemi miopi e meschini. È inevitabile il ricordo della manna: Dio l’aveva data ai “padri” nel deserto perché avevano mormorato, ma anche dopo averla ricevuta essi hanno continuato a lamentarsi. Ma ora – insiste Gesù – come si può recriminare se il pane che egli darà, a differenza della manna, permette di vivere in eterno?
L’eucaristia ci immette nell’orbita della vita eterna. Cristo è la vera manna, il pane venuto dal cielo: chi se ne nutre assimila la sua persona, e lo Spirito che lo abita diviene il nostro stesso spirito. Noi entriamo con lui nel regno dell’amore diventando, come lui, un dono di Dio per la fame del mondo. Questa è l’eucaristia: la comunione con Cristo risorto.
L’eucaristia non è solo il sacramento della risurrezione del Signore crocifisso; è anche – proprio per questo – il sacramento della nostra risurrezione. Il messaggio centrale del Vangelo di questa domenica è: “Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno”.
L’eucaristia è un pane celeste, spirituale e sorgente di Spirito, in cui la Pasqua del Signore diventa la nostra, non per aggiunta o per applicazione dal di fuori, ma per assimilazione interna: “Come il Padre, che ha la vita – dice Gesù – ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. Chi mangia di questo pane vivrà in eterno”. Ecco cosa ci ottiene la partecipazione alla mensa eucaristica: ci fa vivere di Gesù, ci genera alla vita eterna; non ci estranea dalla storia di quaggiù, ma ci fa camminare nel tempo “come vivi tornati dai morti” (Rm 6,13), come uomini già risorti, anche se non ancora in un “corpo spirituale”.
I primi cristiani decantavano l’eucaristia come “antidoto contro la morte” (sant’Ignazio di Antiochia). Sapevano bene che tanti loro fratelli e sorelle avevano celebrato l’eucaristia, eppure erano morti e sepolti. Lo stesso Ignazio, che pure utilizzava la formula citata prima, aspirava alla morte in cui sarebbe “finalmente nato in lui il cristiano”.
È vero: l’eucaristia non ci impedisce di morire, ma opera in noi quello che avviene con la consacrazione del pane: una trasformazione radicale. Facendoci morire con Cristo, l’eucaristia ci consacra nella sua Pasqua e la morte diviene una nascita filiale. Ora, quando la morte si trasforma in una nascita, la vita diventa eterna.
Il pane eucaristico non ci risparmia la morte fisica, ma ci proietta nella risurrezione di Cristo e ci fa partecipare alla sua vita immortale. La messa della domenica – è bello ripeterlo – ci fa incontrare Gesù risorto e rivivere la gioia della Pasqua. Nulla vi è di più grande al mondo! Ha ragione san Giovanni di Kronstadt, un santo russo, nel dire che “l’eucarestia è un miracolo permanente”.
Non dobbiamo mai perdere lo stupore partecipando alla messa. La tradizione della Chiesa d’Oriente ci ricorda che l’eucarestia domenicale è il “cielo” che scende sulla terra e la trasfigura. Quando il principe della Rus’, Vladimir, mandò suoi messaggeri nelle varie capitali d’Europa per scoprire i riti più suggestivi, si sentì rispondere al loro ritorno che, partecipando alla divina liturgia a Costantinopoli, non sapevano più se si trovavano in terra o nel cielo. In nessun altro luogo al mondo, aggiunsero, avevano trovato qualcosa di così bello.
Il principe, al termine dei racconti, si convertì al cristianesimo nella tradizione di Costantinopoli. la messa della domenica salva anche le nostre città. La messa, infatti, non è un atto di pietà privato, tanto meno un “precetto”. Essa è la fonte della santità per i credenti e per il mondo. Come il corpo ha bisogno del cuore per vivere, così hanno bisogno della messa domenicale anche coloro che non vi partecipano affatto.
Facciamo ciascuno la nostra parte perché la messa domenicale resti il cuore della nostra Chiesa e della nostra terra. A noi credenti è affidata la responsabilità di questo cuore, perché sia un cuore che batta, e che amando sappia trasfondere il senso di Dio a un mondo che lo ha dimenticato.