La prossima settimana, da lunedì 9 novembre a venerdì 13, i 2400 delegati delle diocesi e delle aggregazioni laicali della Chiesa italiana si troveranno a Firenze per il quinto Convegno ecclesiale nazionale, chiamati a dare il proprio contributo al tema scelto “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”. Ne parliamo con la filosofa Flavia Marcacci, di Perugia, rappresentante l’Umbria nel Comitato preparatore del Convegno, insieme al vescovo Domenico Cancian e don Andrea Czortek di Città di Castello e il prof. Antonio Nizzi di Foligno.
Professoressa Marcacci, iniziamo da titolo: da dove nasce l’esigenza di dedicare il convegno ecclesiale al tema del nuovo umanesimo?
“Nasce proprio dall’idea di provare a ricollocare cos’è l’umano e cos’è l’essere umano nel contesto di oggi. La domanda intorno all’uomo è la domanda più antica, sotto tutti i punti di vista, ma è anche vero che la realtà oggi appare molto caotica, frammentata, globalizzata… Allora il problema di fondo è se voler pensare questa realtà come una sconfitta per l’essere umano o se si possa invece concepirla come un’occasione per l’umano. Nella Traccia del Convegno viene citato un passo della filosofa e poetessa Maria Zambrano, nel quale invita ad evitare un umanesimo che sia esaltazione di una sola e parziale idea dell’uomo, che addirittura lo riduce a una semplice accettazione della sua dimensione biologico psicologica. La sfida di Firenze è piuttosto partire da questa realtà concreta, biologica, psicologica, culturale, sociale, teologica, per metterla in cammino verso una trascendenza”.
Quindi il tema scelto non è riducibile a uno slogan…
“Sempre dalla Traccia leggo: ‘Ascoltare l’umano significa vedere la bellezza di ciò che c’è nella speranza di ciò che ancora può venire consapevoli che si può solo ricevere’. Quindi c’è l’idea e l’aspirazione di guardare all’umanità con uno sguardo di speranza, vedendo nell’oggi e nella storia nuove opportunità. Al centro di questo ‘nuovo umanesimo’ c’è chiaramente l’esperienza teologica del Cristo, che si è incarnato, un Gesù che è entrato nella storia, che ci è compagno e amico, che è in cammino con noi e per questo ci può indicare la strada da seguire. Ecco perché il titolo “in Gesù Cristo”. Nel Convegno di Firenze l’incarnazione del Cristo è centrale. È lo è l’idea di un ‘umanesimo incarnato’. La Traccia cita un passo della Evangelii gaudium (n. 233) che a questo proposito ricorda che “la realtà supera l’idea”. Umanesimo incarnato, dunque, per evitare di scivolare in un umanesimo disincarnato, rischio a cui tutti siamo sottoposti. Non solo i filosofi o i teorici, perché nella vita quotidiana chiunque può farsi guidare da idee che potrebbero costringere la realtà dentro schemi preconfezionati o ridurla solo a un problema, impedendoci di cogliervi una opportunità per realizzare la pienezza dell’umano che vuole Cristo stesso. D’altra parte non si può nemmeno limitarsi al solo dato empirico, alla realtà di fatto. Occorre trovare una strada che sia intermedia tra queste due grandi tentazioni: quella di ridurre tutto alla mera storicità, al dato empirico e quella opposta di forzare il dato empirico in nome di un’idea astratta, a-storica, che non tiene conto dell’uomo concreto”.
Perché nel titolo si è scelto di scrivere “il” e non “un” nuovo umanesimo?
“Perché il nuovo umanesimo semplicemente già c’è. Il convegno di Firenze è nato non come risposta a un qualche documento scritto prima di interpellare i delegati. Al contrario, la Traccia è stata scritta dopo che i delegati hanno iniziato ad incontrarsi e a lavorare. Il convegno nasce da una indagine fatta sul territorio. Nella home page del sito c’è una cartina dell’Italia in cui sono segnate tutte le esperienze segnalateci dal territorio, dove i cristiani vivono già concretamente l’umanesimo. Per dire che il “nuovo umanesimo” già c’è perché già è vissuto nelle nostre parrocchie, diocesi, movimenti, associazioni. Il cristiano è sempre nuovo, già oggi inventa sempre iniziative, nuove realtà, nuove esperienze per portare Cristo nella concretezza della storia. Firenze nasce, dunque, come lavoro di coordinamento su questa realtà che già esiste in Italia e che è la somma di tante esperienze”.
Allora perché “il” nuovo umanesimo? Solo per questo?
“In realtà no, perché il nuovo umanesimo è la somma di tanti aspetti. In particolare la Traccia ne elenca quattro: 1) il nuovo umanesimo dovrebbe essere concreto, cioè attento alle reali situazioni dell’uomo, sia l’uomo che conosce Cristo e comunque ha bisogno sempre di rinnovare la propria fede e il proprio sguardo verso il mondo, sia l’uomo che non conosce Cristo e che dunque si può trovare in situazioni concrete anche molto distanti dalla nostra immaginazione; 2) un umanesimo in ascolto: il primo atteggiamento è stato proprio quello di mettersi in ascolto di ciò che sta accadendo oggi, intorno a noi, che spesso porta il segno della fragilità ma che in questa fragilità vede accadere anche tanti piccoli miracoli laddove arriva la parola cristiana. In questo senso mettersi in ascolto significa andare alla ricerca di segni di speranza e dare loro visibilità. 3) Un umanesimo plurale e integrale. Che significa? L’umanesimo in Cristo è un umanesimo sfaccettato, ricco di sfumature, Cristo è qualcuno che sorprende sempre, basta leggere i Vangeli quando descrivono come Cristo sa relazionarsi con il peccatore. Quindi umanesimo plurale e integrale perché oggi per parlare di umanesimo dobbiamo parlare dei tanti volti del cristianesimo. Si tratta anche qui di reintegrarli, di mettere insieme la dimensione veritativa con la prassi caritativa. Anche questa è la grande sfida di Firenze 2015: dare piste concrete che mettano insieme verità e carità, come già papa Benedetto XVI sottolineava con la Caritas in veritate e la Deus caritas est. 4) Infine, ultimo aspetto di questo umanesimo è l’interiorità e la trascendenza. La finalità è proprio quella di poter diventare ‘professionisti dello spirito’, non solo perché le nostre realtà cristiane possano aprire a momenti di contemplazione, silenzio e preghiera e quindi offrire alla società di oggi anche luoghi di contemplazione reale, ma anche per il fatto che tutto ciò che è umano, che è contraddistinto dall’umanità di Gesù e cerca di viverla, non può che concludere in una contemplazione interiore e nella conoscenza della trascendenza, per il fatto che la nostra esistenza o si lascia superare da qualcosa di Altro, o finisce per negare l’umano. Ecco quindi “il” e non “un” nuovo umanesimo perché ha connotazioni molto precise ispirate tutte dal volto di Gesù”.
Il nuovo umanesimo chiede anche un cambiamento nel modo di proporsi come cristiani?
“Se dobbiamo pensare un nuovo umanesimo dobbiamo anche configurarci una nuova metodologia (per esempio di annuncio) che sappia partire dal ‘dato’ non per disperdersi del dato ma per avere una nuova sintesi che metta insieme l’universale con il particolare, che metta insieme l’attenzione al dato generale, in questo caso alla verità, con il dato singolare, con l’esperienza concreta del singolo individuo, della singola realtà”.
A volte quando si pensa al “dato” si immagina una serie di dati che però da soli non ci dicono il senso delle cose che accadono …
“Proprio così. Per questo quando si parla di partire dal dato occorre fare molta attenzione, perché l’interesse verso il concreto non significa concludere nella frammentarietà, nel disordine, nella mera giustapposizione di dati, per esempio in un elenco di esperienze di carità. Il nuovo umanesimo non è questo, non è fare un elenco di cose in cui siamo belli e buoni! Al contrario, partire dal concreto ed enumerare quelle realtà nelle quali l’essere umano si trova e nelle quali fa anche esperienze belle e qualificanti è il primo passo per arrivare ad una nuova immagine di essere umano. Quindi, ripeto, l’obiettivo non è una frammentazione della verità bensì la proclamazione, la riproposizione di una verità che è così ampia e così profonda che riguarda tutti, non solo pochi, o solo quelli che hanno fatto già l’esperienza di Cristo. La verità che l’incontro con Cristo desta nel cuore ha una portata universale indicibile. La sua forza non è nella nostra capacità di sforzarci per adeguarci ad essa, ma è prima di tutto nella sua profondità, bellezza e gratuità. Questo è molto, molto importante: il metodo di Firenze vuole proprio portare questa prospettiva sulla missione della Chiesa: partire dal dato concreto per riassumerlo in un dato universale, che veramente possa parlare a tutti e di tutto, e non solo a pochi e di qualcosa”.
Il titolo potrebbe far pensare ad un tema culturale di interesse, ma che poco ha che fare con la vita di ogni giorno. È così?
“Certamente no. Se si guarda il programma di Firenze si vede che in quattro giorni e mezzo ci sono soltanto due relazioni in plenaria, di un teologo e di un sociologo. Per il resto moltissimo tempo è dedicato ai lavori di gruppo, verrà applicato il metodo sinodale per far parlare le persone, mettere in condivisione esperienze. Firenze2015 vuole essere un evento che parte dal basso per mettere in comune esperienze, per iniziare a fidarsi tra fratelli, ognuno con una sua propria esperienza che vale la pena ascoltare. Il tutto guidato da domande chiave, basate su ciò che il Magistero della Chiesa propone”.
Questo come ha a che fare con la vita di ogni giorno?
“Anzitutto per acquisire uno stile mentale: essere Chiesa significa essere comunione e essere comunione significa ascoltarsi, ascoltarsi significa mettere in comune, mettere in comune significa elaborare delle sintesi che non sono il prevalere di un’idea su un’altra, ma sono il frutto di una condivisione e di un discernimento fatto alla luce del magistero, alla luce di una tradizione, alla luce di un’esperienza cristiana che qualifica ciò che ogni delegato potrà dire in quella sede. Acquisire questo stile significa veramente vivere nella capacità di accogliere, di ascoltarsi, di abbattere quegli steccati che prima di tutto dividono spesso gli stessi cristiani. Chiaramente questo chiede fatica. Saranno giorni faticosi perché tutti dovranno lavorare sodo. Ci saranno tavoli circolari, perché anche la forma dice un contenuto, e il relatore sarà un mediatore, colui che coordina il lavoro di tanti altri per portarlo poi all’assemblea generale facendosi portavoce. Questo è il metodo di Firenze”.
Fin qui il metodo. Ma i contenuti avranno un interesse anche culturale?
“Tutto questo non esclude che sia tema di interesse culturale, perché si può rivendicare una presenza cristiana nella cultura. Forse il quid che il cristianesimo può aggiungere a tante altre culture è proprio una precisa visione dell’umano. In realtà, sarebbe bene uscire dal luogo comune che ciò che è “culturale” è lontano dalla vita quotidiano. C’è invece una continuità tra la cultura e la vita di ogni giorno che sarebbe bene fosse riscoperta. Però indubbiamente Firenze punta più su una declinazione pratica. L’esperienza del Convegno vuole insistere sulle conseguenze pratiche che un nuovo umanesimo potrebbe portare nella nostra realtà ecclesiale italiana. Questa è un po’ la speranza di Firenze 2015”.
A leggere l’articolo le premesse sono molto interessanti e confortanti. Occorrerà però verificare che le premesse non rimangano solo tali, ma che il Convegno sia un’occasione per un contributo profetico alla fatica di vivere di ogni uomo e ogni donna del nostro paese, di qualsiasi fede e orientamento. Non credo infatti ci sia necessità di un nuovo umanesimo inteso come una nuova elaborazione teorica e/o pastorale cattolica. L’umanesimo non nasce come peculiarità culturale cristiana, anche se dal cattolicesimo ha avuto senz’altro un contributo fondamentale. C’è insomma da augurarsi che si tengano in mente le parole del Papa Francesco all’assemblea dei vescovi italiani in vista del Convegno di Firenze: ” Si organizza un convegno o un evento che, mettendo in evidenza le solite voci, narcotizza le comunità, omologando scelte, opinioni persone. Invece di lasciarci trasportare verso quegli orizzonti dove lo Spirito Santo ci chiede di andare”. E’ stato talora così in passato, ma non dovrebbe più essere così. Siamo fiduciosi ! (oppure ?)