Le notizie dal Myanmar arrivano con il contagocce. L’informazione è tra i primi diritti che vengono repressi. Anche il traffico della rete internet è stato oscurato. I generali sembrano aver dichiarato guerra agli abitanti del Paese perché il dissenso tra la popolazione sembra essere diffuso, dilagante, pressoché totale.
Da una parte ci sono elezioni condotte regolarmente, che hanno inteso affidare le sorti del Paese alla National League for Democracy (Nld: Lega nazionale per la democrazia) della Nobel della pace Aung San Suu Kyi, e dall’altra un gruppo di militari d’altissimo rango che vedono traballare i propri interessi economici.
Centrale è il ruolo della Cina che, a quanto pare, vede garantita la sudditanza economica dell’ex Birmania più grazie ai militari che alla democrazia. Si teme che la repressione possa sfociare in una strage con migliaia di morti, come è già nel 1988 e nel 2007, quando la “rivolta zafferano” guidata dai monaci aveva fatto tremare il regime.
La comunità internazionale, davanti a questo rischio, non può continuare a restare sugli spalti. Potrebbe piuttosto cominciare a comminare sanzioni economiche, non contro la popolazione ma congelando il denaro che i militari hanno depositato nelle banche estere per tenerli al sicuro.
Tonio Dell’Olio