“Concedi al tuo servo un cuore docile”
(1Re 3,9) è il motto episcopale che mons. Nazzareno Marconi (da poco nominato vescovo di Macerata – Tolentino – Recanati – Cingoli – Treia) – il nostro don Nazzareno – ha molto opportunamente scelto. È la preghiera del giovane re Salomone che si definisce un ragazzo senza esperienza di governo. Dinanzi all’invito del Signore: “Chiedimi ciò che vuoi ch’io ti conceda” (3,5), non cerca la ricchezza o la gloria (magari come il padre David), ma semplicemente “un cuore docile”. Si intende: nei confronti del Signore, per fare quello che Lui vuole.
Don Nazzareno, giustamente, rileva che il testo originale parla di “cuore in ascolto”, un cuore che si mette in ascolto obbediente sia di Dio sia del popolo. Il Signore stesso fa capire a Salomone che questo è il dono del “discernimento nel giudicare; un cuore saggio e intelligente”. Interessante l’espressione “cuore saggio” perché in questo modo l’amore obbediente al Signore e agli uomini è collegato alla sapienza. Così il cuore docile è il cuore sapiente.
La capacità di porsi nell’atteggiamento di ascolto obbediente di Dio e di amorevole attenzione e cura delle persone, specialmente di quelle che sono nella sofferenza, è certamente la qualità principale del buon/bel pastore Gesù e di quelli che sono chiamati a continuare la sua missione. Ma è anche qualità principale di ogni discepolo, che “ogni mattina fa attento il suo orecchio per ascoltare” il Signore (cf. Is 50,4). Il discepolo ideale è quello che può dire come il Servo di JHWH: “Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro” (50,5).
In questa direzione ci porta una bellissima icona intitolata “Cristo e l’abate Mena. L’icona dell’amicizia”. La voglio descrivere perché mi è piaciuta molto. Risale al VII secolo d.C. e proviene dalla Chiesa copta. Raffigura Gesù che accompagna san Mena, abate del monastero di Alessandria. Chi contempla è invitato a mettersi al posto di san Mena. Gesù appoggia la mano destra sulla spalla dell’amico per condividere fraternamente la sofferenza e per incoraggiare. La spalla è simbolo delle nostre fatiche; la mano del Cristo consola, conforta e sostiene. Il tocco di Cristo imprime al braccio destro dell’amico la forza di portare a tutti la benedizione del Signore agli uomini bisognosi di conforto. Gesù ha due occhi molto grandi: guarda l’amico invitando a procedere nella sua direzione. Anche l’amico, quasi in modo strabico, tiene un occhio rivolto a Gesù e l’altro sulla strada indicata da Lui. L’amico ha due orecchie molto grandi: esprimono l’importanza dell’ascolto della Parola. La bocca molto piccola dice l’esigenza del silenzio e della sobrietà. Gesù sostiene un grosso libro decorato e prezioso: è Lui che apre i sigilli delle sacre Scritture. L’amico tiene in mano un piccolo rotolo nel quale annota le parole di Gesù per imparare ad assimilarle. Gesù non ha piedi: cammina con i piedi dell’amico. Il discepolo riflette la luce del Maestro (le aureole infatti si richiamano) e continua la missione dell’evangelizzazione e della carità portata da Gesù.
Auguriamo a don Nazzareno, ma anche a ognuno di noi, la grazia di diventare sempre più “amici di Gesù” o anche “amici dello Sposo” (cf Gv 3,29), pronti per la missione che ci affida. In sua compagnia i problemi, le difficoltà e le sofferenze possiamo portarli “pazientemente, e forse anche gioiosamente” (Tommaso Moro).