“Io non so’ razzista, ma Francesco s’ha da dà ’na calmata!” dice riferendosi al Papa, ma ridendo, un anziano perugino residente in un quartiere della città in cui non sempre gli stranieri danno il meglio di sé. ‘Battutaccia’ che mostra una ferita aperta: guerra, profughi, accoglienza sono stati appunto i temi affrontati dal Vescovo di Roma nei giorni tra il 7 e il 10 settembre, dalla veglia di preghiera per la pace all’Angelus di domenica, alla visita al Centro “Astalli” di Roma.
La Genesi – ha esordito il Papa alla veglia per la pace in San Pietro la sera di sabato – “ci dice semplicemente che questo nostro mondo nel cuore e nella mente di Dio è la casa dell’armonia e della pace, ed è il luogo in cui tutti possono trovare il proprio posto e sentirsi a casa, perché è ‘cosa buona’. Tutto il creato forma un insieme armonioso, buono, ma soprattutto gli umani, fatti ad immagine e somiglianza di Dio, sono un’unica famiglia, in cui le relazioni sono segnate da una fraternità reale non solo proclamata a parole: l’altro e l’altra sono il fratello e la sorella da amare, e la relazione con il Dio che è amore, fedeltà, bontà si riflette su tutte le relazioni tra gli esseri umani e porta armonia all’intera creazione. Il mondo di Dio è un mondo in cui ognuno si sente responsabile dell’altro, del bene dell’altro. Questa sera, nella riflessione, nel digiuno, nella preghiera, ognuno di noi, tutti pensiamo nel profondo di noi stessi: non è forse questo il mondo che io desidero? Non è forse questo il mondo che tutti portiamo nel cuore?”. Alla luce di tutto questo, si è quindi domandato: “Possiamo uscire da questa spirale di dolore e di morte? Possiamo imparare di nuovo a camminare e percorrere le vie della pace? Invocando l’aiuto di Dio, sotto lo sguardo materno della Salus populi romani, Regina della pace, voglio rispondere: sì, è possibile per tutti! Questa sera vorrei che da ogni parte della Terra noi gridassimo: sì, è possibile per tutti! Anzi vorrei che ognuno di noi, dal più piccolo al più grande, fino a coloro che sono chiamati a governare le nazioni, rispondesse: sì, lo vogliamo! La mia fede cristiana mi spinge a guardare alla croce. Come vorrei che per un momento tutti gli uomini e le donne di buona volontà guardassero alla croce! Lì si può leggere la risposta di Dio: lì, alla violenza non si è risposto con violenza, alla morte non si è risposto con il linguaggio della morte. Nel silenzio della croce tace il fragore delle armi e parla il linguaggio della riconciliazione, del perdono, del dialogo, della pace. Vorrei chiedere al Signore, questa sera, che noi cristiani e i fratelli delle altre religioni, ogni uomo e donna di buona volontà gridasse con forza: la violenza e la guerra non è mai la via della pace! Ognuno si animi a guardare nel profondo della propria coscienza e ascolti quella parola che dice: esci dai tuoi interessi che atrofizzano il cuore, supera l’indifferenza verso l’altro che rende insensibile il cuore, vinci le tue ragioni di morte e apriti al dialogo, alla riconciliazione: guarda al dolore del tuo fratello – penso ai bambini, soltanto a quelli… – e non aggiungere altro dolore, ferma la tua mano, ricostruisci l’armonia che si è spezzata; e questo non con lo scontro, ma con l’incontro!… Fratelli e sorelle, perdono, dialogo, riconciliazione sono le parole della pace: nell’amata nazione siriana, nel Medio Oriente, in tutto il mondo! Preghiamo, questa sera, per la riconciliazione e per la pace, lavoriamo per la riconciliazione e per la pace, e diventiamo tutti, in ogni ambiente, uomini e donne di riconciliazione e di pace. Così sia”.
Temi che sono stati ripresi con forza il mattino dopo, all’Angelus. “A che serve fare guerre, tante guerre – ha esclamato -, se tu non sei capace di fare questa guerra profonda contro il male? Non serve a niente! Non va… Questa guerra contro il male comporta di dire ‘no’ all’odio fratricida e alle menzogne di cui si serve; dire ‘no’ alla violenza in tutte le sue forme; dire ‘no’ alla proliferazione delle armi e al loro commercio illegale. Ce n’è tanto! Ce n’è tanto! E sempre rimane il dubbio: questa guerra di là, quest’altra di là – perché dappertutto ci sono guerre – è davvero una guerra per problemi, o è una guerra commerciale per vendere queste armi tramite il commercio illegale? Questi sono i nemici da combattere, uniti e con coerenza, non seguendo altri interessi se non quelli della pace e del bene comune”. E al termine ha aggiunto: “Vorrei ringraziare tutti coloro che, in diversi modi, hanno aderito alla veglia di preghiera e digiuno di ieri sera. Ringrazio tante persone che hanno unito l’offerta delle loro sofferenze. Ringrazio le autorità civili, come pure i membri di altre comunità cristiane o di altre religioni, e uomini e donne di buona volontà che hanno vissuto, in questa circostanza, momenti di preghiera, di digiuno, di riflessione. Ma l’impegno continua: andiamo avanti con la preghiera e con opere di pace! Vi invito a continuare a pregare perché cessi subito la violenza e la devastazione in Siria, e si lavori con rinnovato impegno per una giusta soluzione al conflitto fratricida”.
A uno dei tragici effetti collaterali delle guerre, le masse di sfollati costrette alla fuga e lottare per sopravvivere, Papa Francesco ha dedicato la sua attenzione il 10 settembre al Centro Astalli. Fu lo stesso sant’Ignazio di Loyola – ha ricordato – a volere che nei locali dove aveva la sua residenza a Roma ci fosse uno spazio per accogliere i più poveri. Nel 1981 l’allora superiore generale padre Arrupe fondò il Servizio dei gesuiti per i rifugiati, e volle che la sua sede romana fosse appunto in quei locali. Lo scopo è anzitutto “aiutare a recuperare la fiducia – ha detto il Papa. – Mostrare che con l’accoglienza e la fraternità si può aprire una finestra sul futuro; più che una finestra, una porta, e si può avere ancora un futuro! Ed è bello che a lavorare per i rifugiati, insieme con i Gesuiti, siano uomini e donne cristiani e anche non credenti o di altre religioni, uniti nel nome del bene comune, che per noi cristiani è specialmente l’amore del Padre in Cristo Gesù”. E ancora: “Solidarietà, questa parola che fa paura al mondo sviluppato. Cercano di non dirla. Solidarietà è quasi una parolaccia per loro. Ma è la nostra parola! Servire significa riconoscere e accogliere le domande di giustizia, di speranza, e cercare insieme delle strade, dei percorsi concreti di liberazione”. Parole particolarmente forti le ha rivolte a religiosi e religiose: “I conventi vuoti non servono alla Chiesa per trasformarli in alberghi e guadagnare i soldi. I conventi vuoti non sono vostri, sono per la ‘carne di Cristo’ che sono i rifugiati. Il Signore chiama a vivere con più coraggio e generosità l’accoglienza nelle comunità, nelle case, nei conventi vuoti. Certo, non è qualcosa di semplice, ci vogliono criterio, responsabilità, ma ci vuole anche coraggio”. A quanto pare, Francesco non ha intenzione di “darsi una calmata”, anzi chiama a raccolta tutte le energie perché di fronte a un mondo come quello odierno non basta la buona volontà ma “ci vuole anche coraggio”.