La parabola del ricco “epulone” (mangione) e del povero Lazzaro sembra voler illustrare, con molta drammaticità, quanto affermato nelle Beatitudini: “Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione. Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete. Guai ai ricchi che ora ridono nella loro sazietà, beati i poveri che ora piangono e hanno fame” (Lc 6,24-25). Gesù ha polemizzato con i farisei sull’uso delle ricchezze dicendo loro: “Non potete servire Dio e il denaro” (Lc 16,13). Dunque, racconta la parabola del ricco e Lazzaro per illustrare come il giudizio di Dio possa capovolgere i nostri piani e le nostre scelte e mettere in crisi le nostre convinzioni. Il ricco del racconto è gaudente, la sua principale preoccupazione è quella di godere; nuota nell’abbondanza e nei piaceri, veste elegantemente e fa festa ogni giorno, conduce una vita spensierata nel lusso. Invece il povero Lazzaro è nell’indigenza; giace debole e ammalato alla porta del ricco. Il contrasto, qui, non è tanto tra la ricchezza e povertà: ciò che sorprende è che il povero e il ricco sono vicini, ma il ricco non si accorge del povero. La loro vicinanza non crea nessun legame di solidarietà, anzi, il ricco ignora completamente Lazzaro che non riesce a sfamarsi neppure con le briciole che cadono dalla sua tavola. Lazzaro è così mal ridotto che perfino i cani gli leccano le ferite. Un uomo abbandonato al suo destino, un destino amaro e crudele. Il ricco non si è mai degnato di volgere il suo sguardo al povero, non si è mai lasciato commuovere da quell’uomo ricoperto di piaghe, affamato e sofferente. Per lui, Lazzaro semplicemente non esiste. Illustrando questa storia, Gesù introduce una nota polemica contro la mentalità del tempo. Molti pensavano che ognuno avesse la vita che si meritava: il ricco la ricchezza, il povero la povertà. Si pensava che la ricchezza fosse il segno della benedizione divina. Gesù contesta anche questa opinione, smentisce e capovolge le convinzioni degli uomini.
Il giudizio di Dio capovolge tutto! Il ricco e Lazzaro muoiono. Lazzaro viene portato dagli angeli “accanto ad Abramo”, in paradiso mentre il ricco finisce negli inferi. Che cosa è successo? È successo che la condizione dei due uomini si è ora ribaltata, Dio ha invertito il destino dei due uomini. Il ricco non è condannato per partito preso, non in quanto possedeva ricchezze, bensì per il fatto che non ha saputo o voluto condividere i suoi beni con il povero Lazzaro. Il suo egoismo lo ha portato a chiudere gli occhi e il cuore dinanzi alle necessità e alla sofferenza di Lazzaro. Il ricco, come i farisei, ha pensato alla sua ricchezza come a un segno del favore di Dio, e alla povertà di Lazzaro come a una maledizione. Non solo. Sicuro di sé, il ricco ostenta la sua ricchezza. Con l’avvento del regno di Dio, Gesù annuncia che i poveri e diseredati sono invece al centro dell’amore di Dio, di un Dio che dichiara “beati i poveri” (Lc 6,20) e che “innalza gli umili” (Lc 1,56). È soprattutto l’evangelista Luca a comprendere che la prosperità getta un’ombra sulla vita umana, “L’uomo nella prosperità non comprende, è simile alle bestie che muoiono”, recita il Salmo 48, e sono i poveri a essere oggetto della particolare cura di Dio. In nessun altro luogo questa convinzione è più evidente che nella parabola del ricco e Lazzaro. Il ricco è condannato per la sua mancanza di amore nei confronti del povero. È il suo egoismo a essere messo sotto accusa. Gesù ci aiuta a comprendere che i destini cambiano, che ora il Vangelo è “annunciato ai poveri” (Lc 4,18-19). Dio viene a cercare tutti coloro che in questo mondo sono disprezzati e che non hanno più voce per gridare la loro sofferenza. I farisei, dal canto loro, sono scandalizzati proprio dal fatto che Gesù proclami la buona novella ai poveri, agli ammalati, agli indemoniati, ai ciechi, agli zoppi, a coloro che soffrono e che sono considerati peccatori. Gesù, attraverso questa parabola, ci invita a vivere con concretezza e serietà il comandamento dell’amore per il prossimo. Alla richiesta di aiuto cerchiamo di non restare indifferenti. Il ricco della parabola, infatti, non osteggia Dio e non opprime il povero, semplicemente non lo vede. Non possiamo fare altrettanto. I due erano così vicini ma così distanti. “A che serve – scrive san Giacomo – se uno dice di aver fede ma non ha le opere?” (Gc 2,14). Il ricco è “condannato” non per la sua ricchezza, ma per il fatto che nella sua abbondanza non ha voluto dividere il suo pane con il povero Lazzaro. Gesù ci invita a guardare al prossimo vicino a noi, a colui o colei che ci siede accanto e che spesso non conosciamo. Questo invito di Gesù ad amare il nostro prossimo è così serio e fondamentale che, alla fine della nostra vita, saremo giudicati degni dell’inferno o del paradiso proprio sulla base dell’amore. La parabola ci ricorda una verità di fede spesso trascurata o addirittura non creduta anche da molti cristiani: il paradiso è eterno e l’inferno è eterno. Quindi coraggio, perché Gesù in Matteo 25,40 ci ricorda che “ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Paola Portoricco
Flaviano Casagrande Moretti