Dopo l’ omelia di mons. Betori a Gubbio sono continuate le polemiche e alcuni si sono posti dei seri problemi che sono sul tappeto del pensiero occidentale dall’inizio del Settecento. Ci si interroga sul rapporto tra fede e democrazia. Credenti ed atei si trovano spesso, non sempre, in posizioni contrapposte. Certi pensatori ritengono che se esiste Dio, lui comanda e noi non siamo liberi. Così affermava, ad esempio, Sartre. I credenti ribattono: se Dio non esiste tutto è permesso, secondo Dostoevskij ne I fratelli Karamazov. Le due affermazioni sono state illustrate e discusse in mille versioni. La tesi di ‘ragionare come se Dio esistesse’, riproposta da Ratzinger e accettata dai cosiddetti atei devoti, non vuol dire che si è costretti a credere, ma che si deve vivere ‘come se…’ (Etsi Deus daretur). In questo modo gli uomini avrebbero un criterio di giudizio sul bene e il male, accettato razionalmente da tutti come fondamento della vita collettiva. Se invece si vive come se Dio non ci fosse (Etsi deus non daretur), si ha bisogno di trovare un altro fondamento alla convivenza civile e questo non può essere che l’utilità. Un principio labile soggetto a incertezze e fluttuazioni secondo le maggioranze che riescono a imporsi e decidere per gli altri. Si decide ai voti. Questo procedimento, che attualmente è il migliore per stabilire le leggi di uno Stato e i rappresentanti del popolo, non garantisce la certezza di ciò che è, e deve essere, bene per tutti e ciò che è, e deve essere, male per tutti, perché prevalgono le convenienze del momento e della classe dirigente. Con questo sistema, come hanno denunciato i critici dell’Illuminismo, l’umanità è precipitata in forme infamanti di atrocità e di barbarie (lager nazisti, i gulag comunisti, razzismo, genocidi). Si dice, ed è giusto affermare, che anche il sistema del ragionare come se Dio esiste può portare conseguenze negative. Ciò avviene però, a mio avviso, se si ha una concezione fondamentalista della religione e non si ricorre al principio evangelico: Date a Cesare quel che è di Cesare e date a Dio quel che è di Dio. La soluzione pertanto è da trovare nella chiarificazione delle formule e nella limitazione di entrambe in zone circoscritte di riferimento. Chi esalta la formula negativa non si rende conto che non è favorevole alla democrazia ma all’anarchia, alla sfrenatezza, al nichilismo, alla trasgressività endemica. La democrazia ha bisogno di virtù per sopravvivere, come già scriveva Montesquieu più di un secolo fa. Vivere come se Dio ci fosse vorrebbe dire avere delle ragioni convincenti, non dico la forza, per condannare omicidi, guerre, stupri, sfruttamento di esseri umani. Non vuol dire andare a messa la domenica o farsi circoncidere, che sono pratiche di chi è credente. Quello che disturba in queste discussioni è l’idea retrograda di molti che rifiutano per partito preso taluni richiami della Chiesa inquadrandola sempre nel contesto delle Crociate e dell’Inquisizione. La forma attuale della fede cristiana messa a confronto con la cultura moderna si trova nei documenti del Concilio Vaticano II. In essi si parla, ad esempio, dell’autonomia delle cose terrene (in particolare nella Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo) per cui l’economia, la politica, le scienze naturali e umane, hanno un loro statuto epistemologico e una loro relativa autonomia riconosciuta non dalla Chiesa ma dal Creatore. Anche i laici di lui potrebbero fidarsi, meglio che di un qualsiasi avventuriero della politica.
Il fattore “Dio” in democrazia
AUTORE:
Elio Bromuri