Il diritto di tornare vivi dal lavoro

Sei anni dopo il rogo di Campello sul Clitunno, iniziative per non dimenticare
Mezzi dei vigili del fuoco impegnati a domare le fiamme dell’incendio alla Umbra Olii

Tornare a casa dopo una giornata di lavoro dovrebbe essere una cosa normale, ma non sempre avviene. È stato così per le 18 persone che l’anno scorso in Umbria sono morte nei cantieri, nelle fabbriche e lavorando i campi.

In Italia ogni giorno mediamente sono 3, un centinaio quelle che restano invalide, o che comunque riportano lesioni permanenti, e circa 2.000 quelle che si infortunano lavorando. Tra costi diretti ed indiretti, questi infortuni pesano sulla collettività per 48 miliardi di euro all’anno, pari ad un paio delle pesanti finanziarie per risanare il deficit italiano!

“Tornare a casa dal lavoro” è lo slogan delle tante iniziative che un piccolo Comune, Campello sul Clitunno, ha intrapreso in questi anni per “non dimenticare” i quattro morti del tragico incendio avvenuto alla Umbria Olii il 25 novembre 2006. “Un rogo – ha detto il giovane sindaco di Campello, Paolo Pacifici – che è entrato nella carne viva della nostra comunità, con quei quattro morti carbonizzati, quei serbatoi alti come palazzi che bruciavano un milione di litri d’olio, il cielo oscurato per due giorni da una nube nera e la gente costretta a barricarsi in casa o a fuggire. Non dimenticare, dunque – ha detto il Sindaco -, per non lasciare soli i familiari delle vittime anche nei percorsi perigliosi e difficili dei tribunali per avere un po’ di giustizia. Non dimenticare per rispetto nei confronti di chi ha perso la vita lavorando e per costruire forme di sensibilizzazione diffusa tra la popolazione, che consentano anche di ricostruire un sistema normativo di tutele e di diritti”.

Pacifici, che quel 25 novembre ha visto uno dei 25 silos di 12 metri esplodere e “staccarsi da terra come un aereo che decollava”, ha raccolto immagini e cronache giornalistiche dell’incidente in un libro, dal titolo Tornare a casa dal lavoro, che è stato pubblicato l’anno scorso e che è diventato anche il nome di un concorso giornalistico sui temi della sicurezza sul lavoro. Il bando della seconda edizione di questo concorso, organizzato dal Comune di Campello, è stato presentato nei giorni scorsi a Perugia, in occasione del sesto anniversario del rogo, in sala dei Notari. All’incontro, coordinato dal giornalista Fabrizio Ricci, sono intervenuti anche il sindaco di Perugia Wladimiro Boccali, l’assessore regionale alla Sicurezza nei cantieri Stefano Vinti ed il direttore regionale dell’Inail Tullio Gualtieri, che ha presentato l’ultimo rapporto annuale sugli infortuni sul lavoro in Umbria nel 2011.

Basta, parlare di “morti bianche”, ha detto Pacifici: un’espressione che aveva senso per quei bimbi che morivano in culla senza responsabilità alcuna da parte di altre persone. “Le morti bianche – ha concordato l’assessore Vinti – sono omicidi, il sacrificio votato all’interesse di un sistema basato solo sul profitto”. “Possiamo pure rivedere le leggi che regolano il mercato del lavoro – ha detto il sindaco Boccali – ma sulla dignità, la salute e la sicurezza delle persone che lavorano non si può tornare indietro”.

Sicurezza: un investimento

“Bisogna scuotere le coscienze di tutti e fare capire – ha detto il direttore regionale dell’Inail, Tullio Gualtieri – che sicurezza e legalità non sono un costo ma un investimento”. I 48 miliardi che ogni anno si spendono in Italia per infortuni e malattie sul lavoro lo dimostrano. “Bisogna collaborare, come già stiamo facendo – ha proseguito – con le istituzioni, con il mondo della scuola, con le associazioni del volontariato e con i sindacati per una coscienza nuova”. Gualtieri suggerisce di “premiare” in qualche modo le aziende più attente a questo problema, incrementare la formazione di datori di lavoro e dipendenti, puntare su ricerca ed innovazione.

La Regione Umbria – ha detto l’assessore Vinti – su questi temi è sicuramente all’avanguardia. Prima in Italia, ha messo a punto un sistema online, che entrerà in funzione nel giugno prossimo, attraverso il quale saranno monitorati tutti i cantieri aperti in Umbria per attivare servizi di prevenzione e controllo. Ha inoltre adottato e sta adottando misure per prevenire “cadute dall’alto che provocano il 30 per cento dei morti sul lavoro” ed una serie di misure che nelle gare di appalto non penalizzino i costi per la sicurezza.

Intanto sono le famiglie a pagare

Quello che resta dello stabilimento dopo le fiamme

Cinque anni e 42 udienze per una sentenza del tribunale. E poi ci sarà l’appello e forse anche il ricorso in Cassazione. Intanto di anni ne sono passati sei da quando Maurizio Manili, 45 anni, titolare di una piccola ditta di carpenteria di Narni, ed i suoi operai, Tullio Mottini e Giuseppe Coletti, entrambi di 48, e l’albanese Wladimir Thode, di 44, tutti residenti in provincia di Terni, sono morti mentre stavano installando una passerella alla sommità di due grandi cisterne della Umbria Olii. Con loro c’era anche un gruista, che riuscì a salvarsi. I loro parenti aspettano ancora una sentenza definitiva, che significa anche la certezza del risarcimento dei danni. Durante il processo c’è stata anche una “beffa” (così l’hanno definita i sindacati e le parti civile): è stato il proprietario della Umbria Olii a chiedere a loro, i parenti delle vittime, un risarcimento di 35 milioni di euro. Richiesta respinta dal tribunale, che lo ha invece condannato a sette anni e mezzo di reclusione.

Morena è la vedova di Maurizio Manili, il titolare della piccola ditta di carpenteria di Narni. È la prima volta, nella sala dei Notari, che parla in pubblico dal giorno della disgrazia. “Sono venuta per ricordare mio marito ed i suoi operai”. È emozionata, si interrompe. “Per le nostre famiglie sono stati sei anni di tanto dolore, tanta disperazione e tante sofferenze. Le mogli dei nostri operai si sono rimboccate le maniche, i figli cercano i padri. Ma lui [il titolare dell’azienda, ndr] non paga neanche le provvisionali. Io invece in questi anni ho pagato, pagato e pagato. Avvocati, periti. Non ce la faccio più. L’assicurazione della mia ditta per fortuna ha in parte risarcito i nostri operai morti. Io invece devo solo pagare. Ma è questa la giustizia italiana?”. Nella sala dei Notari è silenzio. “Sto sprecando tutti i nostri risparmi di una vita. Mio marito è morto a 45 anni. Ho chiuso l’attività, sistemato i 22 operai. Così anche io ho perso il lavoro, Ho perso tutto. L’unica cosa che mi resta è mio figlio. Se è giusto che sia così, va bene…”. Scoppia in lacrime. Interviene il giovane sindaco di Campello: “Anche il figlio, con un contratto di formazione in scadenza, rischia di perdere il lavoro. Dobbiamo stare vicino a queste famiglie”.

AUTORE: Enzo Ferrini