A mia insaputa, alcuni cari amici hanno voluto regalarmi, per i 60 anni di sacerdozio (1953-2013), una visita ravvicinata con Papa Francesco. Non potevano immaginare un dono migliore. Hanno trovato la strada giusta per iscrivermi nella breve lista degli “ammessi” alla Messa mattutina del Papa che ordinariamente celebra in privato nella cappella di Santa Marta in Vaticano, accanto alla Basilica di San Pietro. E così alle 7 meno un quarto di mattina mi sono trovato nel piazzale e uno per uno – cinquanta in tutto – siamo entrati. Noi preti, una ventina, ci siamo preparati per la concelebrazione. Era venerdì 18 ottobre, festa liturgica di san Luca.
La messa si è svolta nella maniera più semplice e sobria, direi piuttosto scarna ed essenziale. Nessuna parola in più, nessuna monizione, nessuna enfasi, toni bassi, neppure la preghiera dei fedeli. Minuti abbondanti di silenzio dopo l’omelia, dopo la comunione e al termine della messa, quando il Papa, dimessi i paramenti, si è seduto in fondo alla cappella. Unico elemento di sorpresa, per quel clima austero di intensa preghiera, il pianto di un bambino molto piccolo in braccio a una giovane donna. Francesco si è poi portato in una sala attigua e ha ricevuto i presenti uno per uno.
Quando è stata la mia volta, mi sono presentato, ho portato i saluti dell’Arcivescovo, ho detto chi ero e perché ero lì con brevi parole. Mi sono sentito osservato con gli occhi fissi e interrogativi. Ero emozionato. Ho presentato poi La Voce, dicendo che anche per il settimanale cattolico dell’Umbria era il 60° di fondazione, avvenuta per volontà dei Vescovi umbri di allora, dietro suggerimento del Papa Pio XII. Non sono però sicuro se ho detto tutto ciò o l’ho solo pensato.
Gli ho consegnato in una cartella di plastica trasparente i due numeri speciali dedicati alla sua visita ad Assisi, uno prima e uno dopo la visita stessa. Ho concluso e di questo sono assolutamente sicuro: “Posso dire ai miei lettori che Papa Francesco ci benedice e ci incoraggia?”. E lui con slancio e un grande sorriso ha risposto: “Ma certamente!”. Tutto qui. Tutto qui apparentemente. Perché, lui, Francesco, trasmette un senso di forza e di autorità che da lontano non appare. Sono rimasto molto colpito e commosso per non breve periodo.
Papa Francesco aveva tenuto un’omelia che ha determinato il clima psicologico della giornata. Commentando le letture del giorno (Lc 10,1-9 e 2Tm 4,10-17) ha parlato, nel suo tono basso e incisivo, dell’inizio della missione, in cui l’Apostolo pieno di entusiasmo affronta la missione con fiducia e coraggio, pieno di gioia mentre alla fine, come è accaduto a Paolo, si ritrova solo, abbandonato da tutti, gli manca anche il mantello. Il Papa trova analogie con la fine di Mosè sul monte Nebo dove muore senza poter entrare nella Terra promessa, e la tragica fine del Battista, vittima dell’odio di un’adultera e dei capricci di una ballerina. Ma non è finita qui. L’omelia continua evocando la fine dei sacerdoti e suore ed anche missionari, tristi e soli raccolti nelle case di riposo Ed ha concluso: “Quelle case sono dei santuari di santità e di apostolato, e là bisognerebbe recarsi in pellegrinaggio”.
Una predica che non dimenticherò, gli occhi di un uomo che ti guarda e ti segna, pur nella semplicità della persona e nella sobrietà di parole e gesti.
Gli ho baciato la mano anche per voi.