‘La via della santità, nella tematica cruciale del rapporto Chiesa – mondo, si può descrivere così: un prete capace di avere il coraggio del dialogo con il mondo’. Così concludeva il suo intervento, pubblicato nel numero scorso, mons. Nazzareno Marconi, rettore del Seminario regionale umbro. Questa settimana prosegue la sua riflessione approfondendo proprio il tema del dialogo Chiesa – mondo. esperienza pastorale, soprattutto con le famiglie in difficoltà, mi ha insegnato poche ma fondamentali regole del dialogo. Che vorrei riproporre come provocazione alla ricerca di una nuova, o forse molto vecchia santità del prete. Si comincia dal silenzio, lo strumento che nel linguaggio universale consente di riflettere. Solo se c’è il silenzio, anche delle proprie idee, a volte difficili da districare dalle radici dei pregiudizi e dei difetti personali, si inizia il primo passo del dialogo, che è l’ascolto. La Chiesa, perché è più anziana e giudiziosa del mondo, deve ascoltare per prima. San Benedetto dice che l’abate, per essere veramente paterno e decidere bene, deve prima di tutto ascoltare e deve iniziare a farlo partendo dal monaco più giovane. Quest’ultimo probabilmente dirà la cosa meno saggia, ma va ascoltato per primo, con la mente sgombra da idee già ‘precotte’ e magari consolidate dall’appoggio dei più anziani. La Chiesa deve perciò ascoltare per prima il mondo e deve anche ascoltarsi al suo interno. Non è un ascolto indiscriminato: il pensiero di ognuno pesa per la sua vita e per il compito che lo Spirito affida a ciascuno nella Chiesa. Non si ascolta allo stesso modo e con lo stesso ossequio il pensiero del Papa e la proposta del più scalmanato sedicenne che frequenta l’oratorio; ma non bisogna neppure dimenticare che un giorno Dio fece al giovinetto Daniele il dono dell’anzianità, mentre i saggi di Israele non sapevano quale strada seguire. Furono però questi stessi saggi a riconoscere il dono fatto al giovinetto e a chiamarlo nel loro tribunale (Dan 13,50). La caratteristica più significativa di un tale ascolto entro e fuori della Chiesa è l’umiltà: la capacità serena di accogliere le umiliazioni e le critiche che ci ridimensionano a ciò che siamo veramente. Questa mi sembra oggi la prima virtù del prete, e non conosco altre strade per raggiungerla che la preghiera. Solo chi si specchia costantemente in Dio giunge a dire come san Francesco: ‘Chi sei tu Signore, e chi sono io al Tuo confronto!’. Vivere così, nella vita di ogni giorno, non è facile. Né trova un plauso universale. Infatti alcuni lo definiscono un atteggiamento debole ed incerto nel proporre l’identità cristiana, mentre altri all’opposto non lo ritengono sufficientemente ‘laicizzato’. Anche il ‘mondo’ non gradisce troppo dei preti che restano desiderosi di santità e di spiritualità, ma che escono dalla nicchia per dialogare con il mondo. Per questo non ci bastano dei preti comunque siano, ma ci servono dei preti santi, non ostentatamente santi, né orgogliosamente santi, ma umilmente sulla strada che conduce ad una santità un po’ più grande. Coraggiosi uomini del dialogo con il mondo. ‘Voi siete nel mondo, ma non del mondo’ (Gv 15,19) ha detto Gesù, ma ha anche detto: ‘non temente, io ho vinto il mondo'(Gv 16,33) e soprattutto: ‘Dio ha tanto amato il mondo da donare il suo Figlio’ (Gv 3,16).
Il dialogo inizia dal silenzio
Anno sacerdotale. Proseguono le riflessioni di mons. Nazareno Marconi
AUTORE:
Mons. Nazzareno Marconi