Il Vangelo scrive che Gesù “fu condotto dallo Spirito nel deserto”. Si potrebbe dire che Gesù fu preso dalla forza di Dio e condotto, quasi costretto, nel deserto ove stette per quaranta giorni. Questo tempo simbolizza tutto l’itinerario della nostra vita. Il mercoledì delle ceneri siamo ripartiti dalla nostra debolezza e dalla nostra miseria, come sta scritto: “Il Signore Iddio plasmò l’uomo con polvere del suolo”(Gn 2,7). La vita di ognuno di noi è davvero come polvere.
È polvere il nostro orgoglio, è polvere la nostra tracotanza, è polvere il nostro desiderio di prevalere, è polvere il nostro sentirci tranquilli, è polvere la nostra sicurezza. Tutti siamo deboli, anche se il mondo ci spinge a considerarci forti e autosufficienti. Eppure il Signore Iddio pose l’uomo in un giardino. Questa era la volontà del Signore: che tutti vivessero in un giardino fiorito. Ma l’uomo, preferendo la voce del serpente a quella di Dio, trasformò quel giardino in un deserto.
Questa vicenda non è relegata all’origine del mondo; è la storia degli uomini, è la storia dei nostri giorni. Il giardino della vita si trasforma in deserto quando l’uomo preferisce ascoltare le voci dell’egoismo e della violenza anziché quella di Dio. Questo nostro mondo, il nostro stesso cuore, se sono spesso simili ad un deserto è perché abbiamo preferito le suggestioni del serpente alla Parola di Dio. E si trovarono nudi, scrive la Scrittura al termine della narrazione del peccato originale. Non era un problema di vestiti, bensì di affetto, di amicizia, della dignità. E questo perché ognuno di loro aveva pensato solo a se stesso. Sia Eva che Adamo si accusarono a vicenda, ciascuno per salvare se stesso. Quando non si ascolta la Parola di Dio, anche i più intimi diventano nemico l’uno dell’altro.
Questo fu il vero deserto in cui caddero Adamo ed Eva e tutti noi che ci comportiamo come loro. In questo deserto è venuto Gesù. Vi è entrato per non abbandonarci; anzi per mostrarci fin dove arriva il suo amore per noi. Scrive Matteo che fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo. Matteo ci parla di tre tentazioni. La prima è quella del pane. Essa arriva al momento propizio, quando Gesù, dopo quaranta giorni di digiuno, è stremato dalla fame. È la tentazione di soddisfare solo se stessi, ricercando unicamente il proprio benessere. Gesù risponde con l’unica vera forza dell’uomo, quella della Parola di Dio: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Poi il diavolo porta Gesù sul pinnacolo del tempio e lo sfida: “Buttati giù! ci saranno certo gli angeli di Dio a proteggerti”.
È la tentazione del protagonista che non vede altro che se stesso, che pretende ogni cosa sia centrata su di lui, che tutti, anche gli angeli, girino attorno a lui. E infine è condotto su un monte alto: “tutto può essere suo”. È la tentazione del potere. Gesù proclama la sua libertà dalle cose e dallo stesso potere per affermare che ci si prostra solo davanti a Dio. Quante volte si è creduto di poter usare le cose, finendone poi schiavi! Gesù, ancora una volta con le parole della Scrittura, ribatte alla tentazione: “Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto”. Nel deserto, ch’era dominato dalle parole subdole dell’antico tentatore, Gesù riafferma ogni volta “Sta scritto”.
È con il Vangelo, continuamente riproposto, che Gesù sconfigge le tentazioni e allontana il diavolo: “Vattene Satana!”. E quel deserto si trasforma in un giardino di vita. Gesù non è più solo e abbandonato alla fame e all’aridità. Arrivano gli angeli che gli si accostano e lo servono. Il deserto si popola di consolazione, di amore, di solidarietà, di angeli che si avvicinano per servire.