Chi ha avuto tempo e ha potuto seguire il viaggio di Papa Francesco in America Latina – nei tre Paesi più poveri: Ecuador, Bolivia e Paraguay -, anche se non ha ascoltato tutte le parole dette e si è limitato a immaginare le cifre delle presenze, avrà avuto certamente una domanda da porsi: quella gente là cosa cerca, cosa vuole, perché tutta quella folla? Pensare che mancavano anche i maxi-schermi per trasmettere le immagini. A occhio nudo, poco potevano vedere quelli che stavano lontano dai palchi centrali delle celebrazioni.
Si tira in ballo il feeling tra il primo Papa latinoamericano e le popolazioni che in lui si sentono rispecchiate e rappresentate; si dice anche che Francesco rappresenta un tipo nuovo di Papa, vicino alla gente, che fa gesti di simpatia e di confidenza verso tutti, soprattutto malati ed emarginati. Tutto vero. Ma forse c’è qualcosa di più. Francesco dice cose che gli altri non dicono o non sanno dire, non sono in grado di dire, non hanno il coraggio di dire. Già.
Si sente dire da parte di alcuni politici – che non seguono le idee più diffuse – di guardare avanti con fiducia, di essere ottimisti e fiduciosi, operativi e non rassegnati. Nei giorni scorsi i giornali hanno curiosamente riportato due eventi: a Perugia l’imprenditore di successo, non laureato, Brunello Cucinelli di Solomeo, ha parlato nell’aula magna dell’Università invitando i giovani laureati a darsi da fare perché il tempo è favorevole per una rinascita e uno sviluppo, una specie di “rinascimento” che ci attende.
Il saggio e astuto imprenditore non manca di citare grandi autori: recentemente ho colto da lui una citazione da Marco Aurelio: “Ciò che giova all’ape, giova anche all’alveare”, intendendo di non lasciarsi guidare da schematismi preconcetti. L’altro, questa volta laureato, Matteo Renzi, va a parlare in Africa, a Nairobi in Kenya, all’Università, e a docenti e studenti addita – anche lui – orizzonti positivi, la vittoria sul terrorismo e un mondo in cui possano essere artefici del loro futuro: “Siate leader e non follower” (gente che precede, non che segue).
Un nostro carissimo amico missionario di Città di Castello, padre Francesco Pierli, che lavora in ambito culturale e missionario a Nairobi, ha scritto che anche il Kenya si sta incamminando verso una specie di rinascita o rinascimento, per il fervore delle iniziative e degli impegni.
Ciò tuttavia non riesce a elevarsi e farsi sentire al di sopra di ciò che prevale nei talk show, di ciò che gira in Rete, dove prevalgono i tempi dell’economia e della finanza, dove il linguaggio è scarno e senza anima, o animato solo da rabbia e contrapposizione.
Francesco parla di povertà, dignità, equità, di accoglienza degli uni verso gli altri; parla di pace, di concordia, di solidarietà, di coraggio nell’affrontare la vita, di lavoro per tutti, rispetto del creato, di libertà dalle dittature e dalla sottomissione alle ferree leggi della finanza; parla di amore, di tenerezza, di purezza di cuore, di vocazione, di gioia del Vangelo, della bellezza del creato.
Parla al cuore e con il cuore, e ognuno lo percepisce, sentendosi chiamato al dialogo intimo e profondo con se stesso. Bergoglio non usa il linguaggio banale della volgarizzazione, ma è come se guardasse ognuno negli occhi. Ognuno in quelle migliaia si sente guardato e toccato.
Non è un “vecchio parroco di campagna”, come pensano alcuni incalliti critici del suo stile pastorale: per quelle masse di persone, è un uomo mandato da Dio, un profeta inviato a ridare speranza e dignità a chi si sentiva e era abbandonato a se stesso. E anche chi non arriva a questa identificazione, sente il grande afflato di umanità che da lui promana.
Quella gente, come e più di noi, cerca Gesù Cristo.