“La profezia del Concilio Vaticano II” è stato il tema di un incontro organizzato la scorsa settimana dal gruppo Meic di Foligno su cui il vescovo mons. Gualtiero Sigismondi ha offerto una profonda riflessione. Ha introdotto la tematica il presidente del gruppo, Bernard Fioretti, che ha affermato come dal Concilio emerga una Chiesa chiara. Già nella prima nota della Lumen gentium, questo obiettivo, “continuando il tema dei precedenti Concili, intende con maggior chiarezza illustrare ai suoi fedeli e al mondo intero la sua natura e la sua missione universale”. Posizione chiara è quella del laicato, chiamato ad essere corresponsabile con la gerarchia nella comune opera dell’edificazione del regno di Dio animando il mondo. Il Vescovo ha inteso partire dall’espressione che si trova nel titolo “La profezia del Concilio Vaticano II” per mettere a fuoco innanzitutto il concetto di profezia e poi, attraverso continui riferimenti a passi del libro Vera e falsa riforma nella Chiesa del teologo Yves Congar, far vedere come questo concetto sia stato tradotto dal Concilio Vaticano II nei suoi documenti. “È importante mettere a fuoco il concetto di profezia – spiega il Vescovo – perché oggi troppi pensano di vantare questo titolo; troppi, anche dentro la nostra Chiesa”. Quindi è bene richiamare il senso di questo termine per poterlo cogliere nel suo giusto significato e per capire come debba essere declinato nell’oggi ecclesiale. E per farlo, parte dall’espressione del Salmista, “non ci sono più profeti e tra di noi nessuno sa fino a quando”. Questo “severo monito” – sottolinea il Vescovo – ci ricorda che il profeta, nella concezione più profondamente biblica, non è uno che anticipa i tempi ma, al contrario, è uno che è radicato nel suo tempo e, proprio perché radicato nel suo tempo, scorge i passi di Dio nella storia.
“Il profeta – continua – è uno che parla in nome di Dio, come colui che parla nel nome del Signore agli uomini del suo tempo”. E ancora “il profeta scruta i segni dei tempi e lo fa alla luce del Vangelo, coniugando insieme pazienza e speranza”. E se il profeta ha un assillo, è quello di “sostenere la causa della riforma della Chiesa nella Chiesa, come scrive Congar”. Passando ai contenuti del volume Vera o falsa riforma nella Chiesa, mons. Sigismondi ha specificato di seguito come Congar, nella sua lunga trattazione, offra quattro criteri che occorre osservare perché si possa dire che questa riforma della Chiesa avvenga nella Chiesa, cioè sia autentica. Questi i criteri su cui il Vescovo si è soffermato a lungo chiarendone il senso: 1) il primato della carità e della dimensione pastorale: non può esserci riforma se non si ha l’assillo di “custodire questo primato della carità e della dimensione pastorale” insieme alla “docilità ad accogliere l’appello di Dio alla conversione”; 2) il dovere di restare nella comunione: docilità alla struttura comunitaria; 3) la pazienza e il rispetto dell’attesa: i veri profeti non sono impazienti; 4) il ritorno al principio della tradizione: “Non ci può essere profezia, non ci può essere rinnovamento autentico senza esplorare la tradizione, la quale assieme alla Scrittura e al Magistero forma il triplice ed unico canale lungo il quale scorre la Parola di Dio. Nell’ultima parte della sua riflessione il Vescovo ha evidenziato, tra l’altro, come il Vaticano II non abbia cessato di ispirare la vita della Chiesa, rammentando anche l’affermazione del Papa che configura il Concilio come una bussola che orienta il processo di riforma della Chiesa nella Chiesa. “Occorre quindi mantenere vivo l’affresco dell’evento conciliare, tappa singolare dell’avanzare della Chiesa lungo la storia” ha infine sottolineato mons. Sigismondi.