Dopo il dibattito che si è sviluppato a più voci sulle pagine de La Voce circa le radici cristiane dell’Europa, mi sembra opportuno ricordare che le Chiese europee, ufficialmente ed esplicitamente, si sono pronunciate sull’argomento, sia nelle assemblee ecumeniche dei cristiani europei a Basilea (1989) sia a Graz (1997) e soprattutto nel recente documento denominato Charta oecumenica (Aprile 2001), che è stata sottoscritta dalle Chiese europee, cattoliche, protestanti, ortodosse e anglicane, attraverso i loro organismi rappresentativi (Ccee, e Kek, rispettivamente Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa e Conferenza delle Chiese d’Europa. La Charta Oecumenica, nella sua terza parte, intitolata La nostra comune responsabilità in Europa, afferma che ‘le Chiese promuovono l’unificazione del continente europeo’, persuase che ‘l’eredità spirituale del cristianesimo rappresenti una forza ispiratrice arricchente l’Europa’ (n.7) e delinea i contenuti fondamentali che le Chiese sono chiamate ad offrire all’Europa per ‘riconciliare popoli e culture’. Si tratta di valorizzare la ricchezza delle tradizioni regionali, nazionali, culturali e religiose, ‘contrastando ogni forma di nazionalismo che conduca all’oppressione di altri popoli e di minoranze nazionali’, di ‘promuovere insieme il processo di democratizzazione in Europa’ e la giustizia sociale all’interno di un popolo e tra tutti i popoli, di ‘contribuire insieme affinché venga concessa una accoglienza umana e dignitosa a donne e uomini migranti, ai profughi e a chi cerca asilo in Europa’ (n.8); di ‘far valere e sviluppare ulteriormente criteri comuni per determinare ciò che è illecito sul piano etico, anche se è realizzabile sotto il profilo scientifico e tecnologico’ (n.9); ‘di approfondire la comunione con l’Ebraismo’ (n.10); di intensificare il dialogo cristiano-islamico (n.11); di ‘istaurare un confronto leale’ con le altre religioni e visioni del mondo, discernendo ‘le comunità con le quali si devono ricercare dialoghi ed incontri da quelle di fronte alle quali, in un’ottica cristiana, occorre invece cautelarsi’ (n.12). Come si vede un programma complesso ricco di aperture ed impegnativo anche sul piano politico. Si tratta soprattutto di creare una comunione al di là delle situazioni nazionali spingendo ogni Chiesa locale ad assumersi la responsabilità per ciò che accade in tutto il continente e non solo nel proprio paese. Tale impegno implica un’azione di tipo pastorale mirante a dare ai singoli componenti delle varie comunità ecclesiali un senso europeo della partecipazione, della solidarietà, della ‘pluriappartenenza’, aiutando le singole realtà a superare le tentazioni di autosufficienza e di chiusura. ‘Apriamo i nostri cuori’ è il titolo di un altro documento che ci sembra importante segnalare, pubblicato dalla Commissione degli Episcopati della Comunità europea (Comece), (11 giugno 2003). La Costituzione europea e l’allargamento, si dice, ‘chiamano tutti i cattolici e tutti i cittadini ad aprire i loro cuori e a dar prova di responsabilità, di immaginazione e di apertura, affinché l’Ue sia al servizio del bene comune di tutta l’umanità’. La Comece non si nasconde ‘le preoccupazioni e le incertezze provocate dalla rapidità con la quale i cambiamenti politici sono stati realizzati nel corso di questi ultimi anni [‘] intravede invece come obiettivo una unione di popoli, prima che di stati, andando così alla radice più profonda e vera del percorso dell’integrazione, come a suo tempo delineata dalla Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950, considerata come la ‘prima pietra’ dell’edificio comunitario. [‘] Si tratta ora, di impegnarsi più precisamente a servizio dell’unione europea, tappa per un’autentica pace universale (n. 19)’. La Chiesa cattolica intende offrire il suo contributo ‘elaborando al proprio interno il tema dell’articolazione tra diversità e unità’, prospettando la ‘visione cristiana dell’uomo’, impegnandosi sempre più nella promozione della pace e in un dialogo rinnovato e fecondo con tutti i cristiani, gli ebrei e i musulmani. Sarà anche da ricordare che la Chiesa cattolica ha dedicato due sinodi dei vescovi all’Europa e Giovanni Paolo II ha emanato una esortazione apostolica postsinodale Ecclesia in Europa ricca di indicazioni pastorali che hanno a che fare anche con i problemi della società europea tutta intera e nella complessità dei suoi problemi.L’impegno a servizio dell’unione europea è considerato necessario dall’esortazione come ‘tappa per un’autentica pace universale’ (19). Nell’esortazione apostolica Ecclesia in Europa Giovanni Paolo II chiama i cattolici ad impegnarsi a vivere ‘abbandonando la ricorrente tentazione di costruire la città degli uomini a prescindere da Dio o contro di lui’ (n. 5), e a riproporre con rinnovata energia la propria fede coerente e vissuta: ‘dal tenore della vita e dalla testimonianza della parola dei cristiani gli abitanti dell’Europa potranno scoprire che Cristo è il futuro dell’uomo’ (n. 20).
Il comune impegno dei cristiani per la costruzione dell’Europa
La 'Charta oecumenica'
AUTORE:
Annarita Caponera