Il caso serio della fede: Carlo Maria Martini, dieci anni fa, intitolava così un corso di esercizi spirituali ai presbiteri della Chiesa ambrosiana. Il Cardinale osservava che nel Vangelo secondo Giovanni troviamo il verbo “credere” e non il sostantivo “fede”. Ciò significa che l’apostolo-l’evangelista, più che teorizzare sulla fede, preferisce suggerire i sentieri, le luci, le fatiche, le gradualità del credere. Quello che avvenne nell’incontro di Gesù con Nicodemo, con la samaritana, con il cieco nato, con Tommaso, con Pietro e Giovanni. Il dialogo con Gesù provoca le persone a cambiare la vita. Questo significa che la fede è il caso serio. Il Signore offre ad ogni uomo dei segni nei quali può in qualche modo vederLo, toccarLo, incontrarLo e sentirsi chiamato ad una vita come la Sua. Credere è amare oltre i segni, è seguire la persona stessa di Gesù, fidarsi di lui, affidarsi a lui in una relazione di abbandono fiducioso. Così si passa dal vedere al credere. “Vide e credette” (Gv 20,8). Ed anche al superamento del vedere, cercando di accogliere e ricordare la sua Parola con fiducia piena, anche quando ad esempio ci dice che dovrà essere innalzato in croce, che si farà pane di vita e chi crede in lui non morirà mai, anzi vivrà fin da subito la vita eterna, la Sua. “Beati coloro che pur non avendo visto crederanno” (Gv 20,29). La vita cristiana si gioca sulla fiducia nella persona di Gesù. Sulla sua Parola. Il credere si collega in modo stretto e reciproco all’amare: non si può credere senza amare, né amare senza credere. “Venite vedete [dove abito]” (Gv 1, 39) “Rimanete in me e io in voi” (Gv 15,4). Fino a formare “una cosa sola” con lui, come lui è una cosa sola col Padre. L’icona di questo strettissimo rapporto tra fede (fiducia-abbandono) e amore la troviamo in quell’autoritratto in cui l’apostolo Giovanni si descrive come l’amico intimo che osa posare il capo nel “seno (kòlpos: Gv 13,25)” di Gesù. È questo l’atteggiamento più alto della fede cristiana che collega direttamente e personalmente all’Amore.
“Rispetto all’incredulità crescente attorno a noi – lo ammettiamo col dolore – la risposta non può essere: miglioriamo la catechesi, organizziamoci meglio, preghiamo di più. Bisogna puntare sul caso serio, aiutare la gente a riconoscere e accogliere un Dio che si esprime nella fragilità e nell’umiltà della carne, nel suo avvicinarsi cortese e delicato alle persone, nella potenza di fronte alle tenebre e della compassione di fronte alla debolezza umana, un Dio che risplenda nell’estrema inermità del Crocifisso. Credere a un Dio così ha molte conseguenze antropologiche, esplicitate nei Vangeli; sono il succo concreto e quotidiano del caso serio della fede, che ci esorta a entrare in Gesù come figli del Padre, con la forza e la serenità testimoniate dal Signore in ogni momento e in ogni vicenda della sua vita terrena” (Carlo Maria Martini, Il caso serio della fede, p. 183). Per chi crede così, tutto è possibile. “Chi crede in me farà le stesse cose che ho fatto io” (Gv 14, 12). Può camminare sulle onde del lago in tempesta. Gesù, il nuovo Mosé accompagna con mano sicura attraverso il Mar Rosso e il deserto, facendoci superare ogni paura ed ogni limite. Gesù, il Crocifisso, attira tutti a sé. Gesù, il Risorto, ci porta nella casa del Padre dove ha già preparato un posto per quelli che lo vogliono seguire. I santi hanno seguito Gesù ed ora sono con lui per sempre. “Anche noi dunque, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento” (Eb 12,1-2).