Libertà di stampa e democrazia sono in pericolo in un Paese in cui un giornalista può finire in galera per le cose che scrive e dice. Libertà di stampa e democrazia sono però in pericolo anche in quel Paese dove i giornalisti, per scarsa professionalità, o peggio ancora in malafede, offendono le persone e ne infangano la dignità scrivendo o affermando il falso. Sono alcune delle riflessioni suggerite dal caso della condanna dell’ex direttore del Giornale Alessandro Sallusti e delle reazioni e polemiche che l’hanno accompagnata.
Sallusti è stato condannato con sentenza definitiva dalla corte di Cassazione a 14 mesi di carcere, senza la sospensione condizionale della pena, per diffamazione a mezzo stampa. Il 18 febbraio 2007 il quotidiano Libero, del quale era direttore, aveva pubblicato la notizia falsa di un giudice che avrebbe ordinato l’“aborto coattivo” per una tredicenne. Una vicenda della quale si era occupato un altro quotidiano nei giorni precedenti, ma che era stata smentita dalle agenzie di stampa prima ancora dell’uscita dell’articolo su Libero. Il giudice in realtà si era limitato ad autorizzare il ricorso all’aborto richiesto dalla madre con il consenso della ragazza.
Le reazioni di giornalisti e politici sono state unanimi: una sentenza grave che mette in pericolo libertà di stampa e democrazia. “Una condanna sconvolgente, in questo momento siamo tutti Sallusti” ha dichiarato Franco Siddi, segretario nazionale della Fnsi, il sindacato dei giornalisti, che ha anche invitato i direttori dei quotidiani a fare uscire i loro giornali con uno spazio bianco come segno visibile della protesta. Indicazione seguita anche da alcuni giornali umbri. “Una intimidazione a mezzo sentenza” ha commentato Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti. Solidarietà a Sallusti è stata espressa dai direttori di tutti i quotidiani, anche quelli notoriamente schierati contro le posizioni espresse dal Giornale e da Libero, così come dai leader di tutti i partiti. Anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha assicurato il suo interessamento.
Una domanda ai politici: perché si indignano ora e non hanno mai pensato a cambiare le norme applicate dai giudici, norme che oggettivamente non sono da Paese democratico e civile?
Mentre divampavano le polemiche, un deputato del Pdl, Renato Farina, ha preso la parola alla Camera per annunciare che l’autore dell’articolo incriminato era lui. Articolo firmato con lo pseudonimo Dreyfus. Farina infatti, prima di finire in Parlamento, era un giornalista che però era stato radiato dall’Ordine poiché si era scoperto che collaborava con i servizi segreti italiani con il nome di copertura di “agente Betulla”.
Una vicenda dunque complessa e con tanti risvolti. È normale che un giornalista radiato dall’Ordine venga ugualmente utilizzato firmando con uno pseudonimo? Ed ancora: il giudice diffamato ha dichiarato in questi giorni alla stampa che Libero non ha mai pubblicato “un trafiletto in cui si diceva che la notizia era infondata, uno sbaglio per cui chiedere scusa ai lettori”.
Il caso Sallusti deve quindi essere una occasione, facendo seguire i fatti alle parole, per modificare norme sbagliate. Ma deve essere anche una occasione per i giornalisti per interrogarsi non solo sui loro diritti ma anche sui loro doveri. Prima di tutto quello di informare correttamente, e dopo le necessarie verifiche che la professionalità richiede. Verifiche ancora più approfondite quando riguardano notizie delicate che, come in questo caso, ledono la dignità delle persone. E poi in caso di errore, sempre possibile, correggerle. Perché le notizie ed i fatti sono cosa diversa dalle opinioni. Queste considerazioni sui doveri della professione sono un po’ mancate nelle reazioni a senso unico per la condanna di Sallusti. Forse perché i direttori dei grandi giornali ed i massimi rappresentanti dell’Ordine e del sindacato dei giornalisti le ritengono scontate e superflue. Eppure, per il bene della nostra democrazia, dei giornalisti e di chi li legge ed ascolta, è giusto ricordare anche i doveri che sono alla base di una vera libertà di stampa.
L’affare Boffo
“Trent’anni di carriera vissuti temerariamente” titola Avvenire a proposito del caso Sallusti, e non a caso. Tra l’altro, Sallusti aveva lavorato alla redazione di Avvenire nella seconda metà degli anni Ottanta. Era “già infaticabile, lucido, intraprendente – ricordano ad Avvenire. – E in cerca di sfide inedite… È condirettore del Giornale assieme a Feltri da appena una settimana, nell’ultimo scampolo dell’agosto 2009, quando collabora alla campagna diffamatoria contro Boffo. Tre mesi dopo Feltri chiede scusa a Boffo, di fatto addossando a Sallusti la responsabilità di aver accreditato come atto giudiziario una banale e vile lettera anonima. Feltri viene sanzionato dall’Ordine dei giornalisti e Sallusti rimane da solo alla guida del Giornale, facendone una cannoniera al servizio del centrodestra”.