Tra il 1941 e il 1943, in Umbria vennero ubicati dei campi di concentramento destinati agli “ex jugoslavi”, ovvero i civili abitanti nei territori occupati dall’esercito italiano e annessi al’Italia. Colfiorito, Pietrafitta e Ruscio furono teatro della deportazione. Nella Giornata del Ricordo si fa memoria delle foibe, ma anche delle vicende che portarono a quelle atrocità. Ne parliamo con Mario Tosti, ordinario di Storia moderna, docente di Storia della Chiesa presso l’Istituto teologico di Assisi e presidente dell’Istituto per la Storia dell’Umbria contemporanea (Isuc) che su questi fatti storici ha pubblicato il volume Istria, Fiume. Dalmazia, laboratorio d’Europa. Sette anni fa veniva istituito nel nostro Paese il Giorno del Ricordo per celebrare la memoria delle vittime delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata. Pensa che oggi si possano raccontare i fatti senza cadere nella polemica politica? “È giusto ricordare e commemorare la tragedia e la violenza delle foibe e il dramma dell’esodo dall’Istria, dal Quarnaro e dalla Dalmazia alla fine della Seconda guerra mondiale, certo condannando tutto ciò che ha sortito e provocato questi drammi, ma con ferma e convinta volontà di voler andare avanti. Dobbiamo conservare e coltivare la memoria facendo sì che ciò abbia oggi un effetto per quanto possibile positivo, tentando cioè di superare la memoria come fonte di rancore, perché è ovvio che la memoria rancorosa non contribuisce a rendere più unita una società, ma rappresenta solitamente un ostacolo su questo percorso. Nel dibattito parlamentare che portò, nel 2004, all’approvazione della legge che istituiva il Giorno del Ricordo, furono sottolineati i ritardi, i silenzi, le rimozioni, le reticenze, i ‘giustificazionismi’ che erano stati accumulati in rapporto a quelle vicende. Oggi, a distanza di sette anni, tutte le parti politiche che approvarono quel provvedimento devono respingere la tentazione di usare la memoria del passato come strumento politico, e devono altresì evitare la tendenza ad usare l’analisi storica come strumento per l’agire politico”. In Umbria vennero deportati cittadini di origine slava. Perché? “L’lstria è stata per secoli una terra di incontro, e purtroppo anche di scontro, tra slavi e italiani. Il Regno d’Italia, nato 150 anni fa, si trovò a governare una regione in cui vivevano circa 500.000 slavi. Forse poteva essere l’occasione per costruire una convivenza pacifica fra le due popolazioni. Invece i Governi italiani cercarono di ‘italianizzare’ con la forza gli slavi. Le violenze divennero sistematiche durante il fascismo: i giornali slavi vennero chiusi; le lingue slave (sloveno e croato) vennero escluse dall’insegnamento nelle scuole di Stato; fu imposta l’italianizzazione dei cognomi slavi; addirittura le Squadre d’azione fasciste minacciarono chiunque parlasse in sloveno o in croato per strada o nei locali pubblici. Si giunse alla deportazione degli slavi, anche nei campi di internamento che lei ricordava e da cui, dopo l’8 settembre 1943, molti di essi fuggirono alimentando le file della Resistenza contro il nazi-fascismo nell’Italia centrale”. Secondo lei, come è potuto succedere una tale tragedia? “Dopo l’8 settembre 1943, per alcune settimane l’Istria si trovò abbandonata a se stessa. L’esercito italiano era allo sbando e i partigiani jugoslavi ne approfittarono per prendere il potere. I Governi ‘popolari’ che nacquero regolarono immediatamente i conti con gli esponenti locali del fascismo. Ma in molti casi vennero arrestate e giustiziate persone che avevano la sola colpa di rappresentare gli ‘Italiani’. I cadaveri venivano buttati in voragini naturali, particolarmente diffuse in questa zona del Carso… le foibe”. Come recuperare in modo appropriato il ricordo di quegli eventi? “Assai lungo e complesso sarebbe spiegare le motivazioni di politica interna ed internazionale che hanno portato in questi ultimi cinquant’anni in Italia a rimuovere dai libri scolastici il fenomeno dell’esodo dei giuliano-dalmati e delle foibe istriane. La tematica è stata presente in modo rilevante nella cultura della destra italiana, ma con forti limitazioni, tanto da diventare – l’esodo – un motivo di polemica politica contro le tesi riduzioniste della storiografia di sinistra, più che un tema di seria ricerca storica. La stessa cultura accademica in Italia ha mostrato sull’argomento un vero e proprio disinteresse. Oggi si può dire che si sta acquisendo una nuova consapevolezza sull’esodo e le foibe, e la convinzione che l’esclusione di queste vicende storiche dall’insegnamento scolastico e dalla formazione della cultura nazionale non sia più praticabile. Un piccolo contributo, in questo senso, è stato offerto anche dall’Istituto per la storia dell’Umbria contemporanea (Isuc) che, attraverso il contatto con le scuole e l’associazionismo degli esuli, in particolare la Società di studi fiumani, continua a conservare la memoria storica della comunità esule trasferitasi in Italia e a rilanciare non idee di anacronistici ritorni, ma un dialogo democratico e interculturale con quell’area dell’Adriatico che è diventata la nuova frontiera dell’Europa comunitaria”.
Il capitolo delle foibe tocca anche l’Umbria
Giorno del Ricordo. Nella nostra regione furono deportati civili di lingua slava. Due popoli divisi da ferite profonde
AUTORE:
Emiliano Sinopoli