Il callo (im)morale

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Ci stiamo abituando a notizie di tragedie senza battere ciglio. Dalla decapitazione, alla tortura, allo sgozzamento, alle stragi di civili provocate da kamikaze, a scempio di cadaveri. Le notizie scivolano via nei telegiornali con l’accompagnamento prima e dopo, di pubblicità di bellissime ragazze che ti offrono e si offrono ogni ben di Dio, dalle macchine alle vacanze esotiche.

Ricordo che i primi tempi in cui si è manifestato il fenomeno dei cosiddetti kamikaze, nella seconda intifada in Palestina, ci fu un dibattito e si disse che il termine giapponese non era appropriato perché i kamikaze si lanciavano contro obiettivi di guerra, mentre questi in Palestina o in Medio oriente si fanno saltare contro civili.

Si disse pure che non si potevano chiamare martiri, perché il martire è colui che dà la propria vita per non trasgredire la propria fede, non colui che uccide in nome di una ‘fede’. Ed oltre ai problemi di linguaggio, si discuteva e ci si scandalizzava.

Ora non più. Il fenomeno è conosciuto, raccontato, documentato, assimilato, come normale comportamento e basta. Ci si è fatto il callo.

Come per molte altre atrocità e insensatezze del nostro mondo attuale, che si considera evoluto. E la cosa curiosa è che se qualcuno vuol esprimere un giudizio di condanna non esita a dire che è roba da medioevo, senza considerare che in quei tempi, non immuni da atrocità, almeno i numeri delle vittime era molto inferiore, come si è dimostrato da ricerche storiche a proposito di inquisizione e di caccia alle streghe.

Sappiamo tutti che è odioso paragonare un’atrocità con un’altra e farne una classifica. Ma con questo discorso si vuole solo invitare a guardarsi intorno per il mondo e considerare quello che succede per ridimensionare alcune nostre meschine polemiche politiche, sportive, culturali e anche religiose.

C’è ben altro per cui indignarsi e spendere cervello e cuore. Le sorti dell’umanità. Una prospettiva troppo grande per ogni singolo, ma non per una comunità che ha radici e rami secolari diffusi ovunque ed è la Chiesa di Dio, impegnata a prendere coscienza degli eccessi del male e cercare di scoprire se vi sono strade percorribili per l’umanizzazione dell’umanità e quindi correre ai ripari.

La strada sul piano più generale c’è ed è stata indicata da quella parte dell’umanità che è toccata dal soffio dello Spirito. È la via della pace.

Alcuni sono diventati allergici a questa parola, come se si trattasse di ingenua retorica o di imbelle politica passiva e remissiva. La via della pace deve essere perseguita attraverso la costruzione di percorsi positivi e costruttivi di accordi, di intese, di scambi, di aiuti, di diplomazia, di cooperazione inernazionale, di dialo interreligioso. Percorsi che spesso sono disertati dalla forze politiche e sociali che avrebbero bisogno di costruttori generosi e creativi.

Sparare sulla croce rossa, o sulla costruzione dell’Europa unita, sull’Onu, sugli organismi di scambio equo tra nazioni e continenti, guardando solo ai piccoli interessi di partito o di bottega, vuol dire essere insensibili alla sofferenza del corpo lacerato dell’umanità, con i suoi miliardi di persone agitate dalla violenza, dal sopruso e della fame.

Qualcosa, grazie a Dio, si va facendo, ma i tentativi sono ancora troppo timidi e inadeguati.