“Era Giovanni soprannominato battista un uomo buono, il quale esortava i giudei a condurre una vita virtuosa e a praticare la giustizia vicendevole e la pietà verso Dio, invitandoli ad accostarsi insieme al battesimo. In ciò, infatti, il battesimo doveva risultare secondo lui accetto a Dio: non come richiesta di perdono per eventuali peccati commessi, ma come consacrazione del corpo, poiché l’anima era già tutta purificata con la pratica della giustizia. Ma quando altri si unirono alla folla, poiché erano cresciuti in grandissimo numero al sentire le sue parole, Erode cominciò a temere che l’effetto di una tale eloquenza sugli uomini portasse a qualche sollevazione, dato che sembrava che essi facessero qualunque cosa per decisione di lui. Ritenne perciò molto meglio prendere l’iniziativa e sbarazzarsene, prima che da parte sua si provocasse qualche subbuglio, piuttosto che, creatasi una sollevazione e trovandosi in un brutto affare, doversene poi pentire. Perciò Giovanni, per il sospetto di Erode, fu inviato in catene a Macheronte, e là fu ucciso”. (Ant. 18, 116-119; traduz. Penna).
La liturgia di Avvento dedica due domeniche al Battista, tanto che è opportuno, mi pare, vederne da vicino la sua figura, a partire dalla freschissima testimonianza di Giuseppe Flavio, riportata sopra. Non possiamo ovviamente soffermarci su temi così delicati, ma chi volesse farlo, può leggere il primo volume di J.P. Meier, Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico (Queriniana 2002), nel quale 281 pagine sono dedicate proprio al Battista. Ma vediamo almeno alcuni aspetti, anche perché, come bene scrive lo stesso biblista cattolico, “non comprendere il Battista significa non comprendere Gesù”. Ci sono – lo abbiamo senz’altro notato – molte differenze tra quanto scrive Giuseppe Flavio e quello che dicono i vangeli sul precursore. Lo storico ebreo del tempo del Nuovo Testamento ci restituisce un Battista “pre-teologico”, “immune dalla rielaborazione in funzione cristologica cui fu sottoposta nei primi tempi della Chiesa” (Simonetti).
Secondo Giorgio Jossa dell’Università di Napoli, però, “la descrizione fatta da Giuseppe Flavio è talmente scolorita e così palesemente contraddittoria (se Giovanni è stato solamente quel che dice Giuseppe, perché Erode Antipa lo ha fatto mettere a morte? Quale sommossa popolare poteva egli temere da un uomo così inoffensivo?) che siamo costretti a preferirle, anche sul piano storico, la tradizione evangelica”. Questo non toglie che non ci interessi uno sguardo “esterno” sul Battista, dato da un non-cristiano. Ma chi poteva essere Giovanni? La sua biografia, confrontando le tradizioni che emergono dai vangeli, ha degli aspetti ritenuti contraddittori: Luca scrive che doveva essere parente di Gesù (cfr. Lc 1,36), “tuttavia nel quarto Vangelo (1,33) il Battista stesso dice di Gesù che prima di incontrarlo non lo conosceva” (Penna).
Qualcosa però – in questo sono unanimi i biblisti – ha impressionato la memoria dei suoi contemporanei, ed è rimasto nel racconto di Luca, e cioè il fatto che Giovanni deve essersi staccato dalla professione del padre: “il figlio unico di un sacerdote di Gerusalemme aveva l’obbligo solenne di subentrare al padre nella sua funzione e di garantire, mediante una matrimonio e dei figli, la continuità della propria stirpe sacerdotale. Se questa era la reale situazione storica, ad un certo punto Giovanni deve aver voltato le spalle e deve aver scandalosamente – per occhi giudei – rifiutato il suo obbligo di essere sacerdote sulle orme del padre” (Meier).
Da questo gesto clamoroso parte la storia del Giovanni che conosciamo, e che il Vangelo di Matteo ci presenta oggi. Strano il suo modo di vivere. Molti hanno ipotizzato che i vangeli, ritraendo il Battista come colui che vive nel deserto, si veste di peli di cammello con una cintura ai fianchi, e si nutre di miele selvatico, volessero evocare figure profetiche del Primo Testamento, come l’Elia di 2 Re 1,8. Da una prospettiva storica, io apprezzo di più la spiegazione di Paolo Sacchi, per il quale il tipo di vita di Giovanni non era una forma “penitenziale” o ascetica, ma si spiega con le pratiche di purità di qualche corrente del giudaismo di allora: “Era necessario, secondo Giovanni, guardarsi da ogni forma di impurità: l’impurità impediva di accostarsi a Dio e a Dio di accostarsi all’uomo. Queste idee spinsero Giovanni ad evitare di mangiare cibi toccati da altri, perché l’impurità poteva celarsi in ogni contatto umano. Era difficile essere sicuri che il pane non fosse stato toccato da un essere in stato di impurità. Il miele selvatico, e quindi non toccato da nessuno, era certamente puro, come pure erano le cavallette, che trovava anche nel deserto. Il deserto e la solitudine divennero il luogo preferito da Giovanni per vivere il suo rapporto con Dio”.
Quanta differenza tra la concezione del sacro e del puro di Giovanni e quella di Gesù! Basti ricordare cosa dice il Signore in Mt 15,10-11: “Ascoltate e intendete! Non quello che entra nella bocca rende impuro l’uomo, ma quello che esce dalla bocca rende impuro l’uomo!”. Insomma, c’è una distanza enorme tra le idee e la predicazione del Battista e quella di Gesù. Questo è il motivo che li porta, ad un certo punto, ad una separazione netta. Giovanni e Gesù. Giovanni deve aver esercitato una forte attrazione su Gesù, deve essere stato, scrive Meier, il suo mentore: Gesù si sottopone addirittura al suo battesimo. Ma poi “dev’essere sopravvenuto un ripensamento, perché Gesù se ne staccò. Se Gesù non se ne fosse staccato, avrebbe soltanto ingrossato le file del movimento battista e non sarebbe stato quello che noi conosciamo” (Penna).
Insomma, più mettiamo vicini il Battista e Gesù, più cogliamo la vera novità del Messia, che Giovanni non poteva immaginare in quel modo. Ma del Messia che si aspettava Giovanni parleremo la prossima volta.