La figura di Giovanni il Battista domina vistosamente la liturgia di questa seconda domenica di Avvento. Il Vangelo di Matteo lo descrive con i tratti di un antico profeta, che indossa un mantello di pelle di cammello, si nutre di locuste seccate al sole del deserto e di miele selvatico. Il deserto della Giudea è il luogo della sua attività, come lo era stato anticamente del profeta Elia, al quale Giovanni somiglia anche per lo stile vigoroso della sua predicazione. Egli annuncia che la storia sta cambiando, perché Dio si è fatto vicino all’uomo ed è giunto il momento in cui il ravvedimento non si può più rimandare. Ma il vero protagonista di oggi è Uno di cui non si sa nemmeno il nome; ma di Lui Giovanni il Battezzatore dice che comparirà presto e potentemente sulla scena della storia.
La profezia di Isaia lo descriveva come un fragile virgulto, che spunta da un tronco spezzato dalla violenza della guerra (Is 10,34); su di Lui si sarebbe posato il soffio dei venti di Dio (Is 11,1-2). Egli inaugurerà tempi di giustizia a favore degli oppressi del paese e la sua parola avrà la forza di una verga brandita sul capo degli empi (Is 11,4-5). Il clima di pace sarà tale quale gli uomini non avevano più visto dai tempi felici dell’Eden (Is 11,6-8). Il brano evangelico, che culmina con la presentazione di questo Anonimo, è chiaramente diviso in due parti: 3,1-6 e 7-10.
Nella prima l’evangelista presenta il Battezzatore che predica nel deserto; in lui si realizza la profezia di Isaia, che verso la fine dell’esilio babilonese chiedeva agli israeliti di preparare una strada a Dio che veniva a liberarli (vv. 1-3); poi, come per confermare che Giovanni è un vero profeta, ne descrive l’abbigliamento e la dieta (v. 4). Improvvisamente il deserto si popola di gente che esce da Gerusalemme, si raduna dalla regione circostante, presso il Giordano, confessa i propri peccati e si lascia immergere nelle acque del fiume, in segno di conversione.
Nella seconda parte il vangelo “zooma” su uno spicchio della folla: sadducei e farisei. Erano due raggruppamenti religiosi giudaici; anche loro erano in fila per l’immersione. Rispetto alla generalità della folla, erano uomini particolarmente devoti e attaccati ai riti, da cui speravano di ottenere la giustificazione e forse, nel caso presente, speravano anche in una accoglienza gentile da parte di Giovanni. Il quale invece li apostrofa violentemente, chiamandoli “figli di vipere”, loro che si ritenevano figli di Abramo (v. 7). La richiesta del battezzatore è perentoria: dimostrare con fatti concreti che si ha voglia di convertirsi. I riti da soli non servono. Il giudizio di Dio è imminente e irrevocabile (vv. 8-9). A questo punto il Battezzatore parla di “Colui che viene dopo di me”. Viene dopo, ma era prima, e lo supera tanto in potenza e dignità che egli non si ritiene degno nemmeno di esserne l’ultimo degli schiavi.
La distanza tra il battesimo che Giovanni amministra e quello che amministrerà Colui che deve venire è pari alla differenza che passa fra il potere purificatore dell’acqua e quello del fuoco (v. 11). Di Lui dice ancora che sarà un giudice assolutamente imparziale: chi è autentico, come lo è il grano, farà parte del suo granaio, chi invece non ha consistenza, come la pula, sarà portato via dal vento e alla fine brucerà nel fuoco (v. 12). Nella seconda lettura Paolo ricorda ai cristiani di Roma che le Scritture sante sono state date per la nostra istruzione (Rm 15,4); vale a dire che la Parola che si proclama in questa liturgia è rivolta a noi: la folla siamo noi, i sadducei e i farisei siamo noi, Giovanni Battista oggi chiama a conversione tutti noi, proclamando la vicinanza di Dio alla vita di ciascuno. È possibile cambiare modo di essere e di pensare, perché Dio ha preso l’iniziativa di mettersi in cerca dell’uomo.
Oggi abbiamo tutti l’occasione di incontrarlo. Sembra attuale domandarci se alcuni tra noi, al pari dei sadducei e dei farisei, non poggino una fiducia esagerata su riti e pratiche devozionali, spesso vuote e prive di spessore, certi che bastino per essere graditi a Dio. L’invettiva con cui il Battezzatore accolse loro, oggi accoglie noi. La vipera dalla lingua biforcuta è l’immagine dell’ambiguità: la religiosità va in una direzione e la vita in un’altra. Il rito ha senso e valore se è accompagnato da un cambiamento di vita. All’orizzonte ultimo di questa domenica rimane in ogni caso la figura del Virgulto di Iesse e di quel mondo di pace universale che tutti sogniamo e verso cui l’Avvento concretamente ci incammina.