“Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti”, annuncia il profeta Isaia per motivare alla fiducia gli israeliti che sperimenteranno la desolante esperienza dell’esilio e li rafforza nella speranza e anticipa loro una nuova realtà che è la presenza di “tutti i popoli”. Questo messaggio universalistico lo riscontriamo anche nell’altro banchetto a cui sono invitati “tutti” a prendere parte e che ascoltiamo nella pagina evangelica di questa 28ma domenica del Tempo ordinario dove ancora una volta Gesù si rivolge ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo e lo fa proponendo la parabola del“‘banchetto nuziale”. I protagonisti sono un re, suo figlio, i servi e gli invitati.
Il re invia i suoi servi a “chiamare” quelli che (letteralmente) “erano stati chiamati” alle nozze del figlio. Li invia per ben due volte e in questo “chiamarli” si assiste ad una progressione. La prima è una chiamata normale, mentre la seconda è farcita di elementi tendenti ad attirare l’attenzione: “pranzo pronto”, “buoi e animali ingrassati uccisi”, “tutto è pronto”. E altrettanto due sono le risposte dei “chiamati”: il disinteresse (“se ne andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari”) e la violenza (“li insultarono e li uccisero”). A questo punto il re manda di nuovo i servi a chiamare “tutti” quelli che avrebbero incontrato nelle strade, cioè, diremmo oggi con il linguaggio di Papa Francesco, nelle “periferie”. E tutti, “buoni e cattivi”, vengono radunati ed entrano nella sala. Al termine entra il re e solo Lui si accorge di un uomo che “non indossava l’abito nuziale”. Il fatto che ad accorgersi sia solo il re ci conduce inevitabilmente a considerare l’immagine del re e del banchetto come ad un’allusione a Dio che convoca i suoi figli nella comunità.
Già in altri contesti abbiamo avuto modo di ricordare che “il re e il banchetto” sia nella tradizione biblica che rabbinica rimandano a Dio e alla comunità dei credenti. Ebbene, della non idoneità dell’invitato, è solo Dio ad accorgersene. Intanto stupisce l’idea che gli invitati in questo banchetto debbano indossare l’“abito nuziale” e non l’abito della festa come richiesto ad un invitato! In questo insolito banchetto, gli invitati sono ammessi solo se indossano il vestito matrimoniale e non semplicemente un abito elegante. E l’equivoco non può esserci perché il sostantivo greco (gamos) relativo alla festa e al vestito è appunto matrimonio’. Nell’Apocalisse l’“abito” o “veste” è il segno della carità eroica che i credenti hanno profuso per amore di Cristo, così in questa parabola allude alle opere di misericordia che devono distinguere i “chiamati”.
Gli invitati a questo banchetto sono sposi e solo Dio ne può scrutare il cuore. Se è privo di umiltà e di amore sono autodestinati al grigiore (“tenebre”) di una vita senza Dio e la loro bocca non si apre alla Sua lode (“stridore di denti”). La vita con Lui, già qui in terra, non è una risposta al ‘dovere’, ma una partecipazione al Suo amore, una condivisione sponsale. Tuttavia, c’è dell’altro e, continuando ad approfondire, notiamo ancora un aspetto che lascia esterrefatti ogni qual volta si ascolta questa parabola. In soli 14 versetti ben 5 volte incontriamo il verbo ‘chiamare’ (kaleo) e una volta il sostantivo plurale ‘chiamati’. Centrale è quindi il ‘chiamare’ del re, cioè di Dio, in cui si nota un passaggio dal ‘chiamare’ quelli che “erano stati chiamati” al chiamare “tutti” quanti sono nelle strade. Cosa significa? Che se i primi avessero accettato, i secondi non sarebbero stati chiamati? Dio predilige alcuni, ma deve poi ripiegare su altri? Oppure che è necessario il rifiuto di alcuni per salvare altri, “tutti” (Rm 11)? Dio deve essere rifiutato per poter salvare gli uomini (Sal 22)? Dopo aver letto questa parabola, dobbiamo rispondere ‘sì’ a tutte queste domande. L’agire di Dio è davvero misterioso! La storia biblica è costellata di uomini che hanno rifiutato Dio, ma Dio è più grande del rifiuto dell’uomo e porta avanti la Sua storia con gli uomini. Inoltre, dalla lettura integrale della Scrittura si evince che Dio intende coinvolgere tutti alla “festa di nozze” (Is 66; Ap 15). Quindi è vero il rifiuto ed è altrettanto vero l’intento di Dio di salvare “tutti”. Allora in gioco è la libertà dell’uomo e soltanto a lui spetta di aderire alla ‘chiamata’.
Ma l’adesione deve essere fatta con sincerità e per amore, ma un amore che si vede nella concretezza così come ha riscontrato san Paolo che ha visto indirizzata a lui la carità concreta manifestata dagli aiuti umani e finanziari dei Filippesi che lo hanno sostenuto anche nelle ‘tribolazioni’, come ascoltiamo nella seconda Lettura. Se allora Gesù rivolge ai ‘capi’ questo insegnamento, e con essi identifichiamo noi che ci siamo già sentiti più volte rivolgere la ‘chiamata’, proprio a noi non accada di rifiutare l’invito, o di parteciparvi senza il ‘rivestimento’ di un cuore innamorato di Lui, perché non ci chiede un’adesione formale, ma di qualità … “molti sono chiamati, ma pochi eletti”.
PRIMA LETTURA
Dal Libro di Isaia 25,6-10a
SALMO RESPONSORIALE
Salmo 22
SECONDA LETTURA
Lettera di Paolo ai Filippesi 4,12-14.19-20
Vangelo della XXVIII Domenica tempo ordinario – anno A
Dal Vangelo di Matteo 22,1-14