Un articolo de La Voce di venerdì 30 agosto sui risultati di una ricerca Eurisko (clicca qui per leggere l’articolo) commissionata dalla Chiesa valdese si apre con un giudizio impietoso: “Una elevata punta di italiani si definisce senza esitazione cattolica; ma a questa ‘identità’ corrisponde un assoluto analfabetismo religioso. Oltre il 50% ha idee confuse sugli autori della Bibbia; meno di due italiani su dieci sono in grado di citare i dieci Comandamenti; il 41% ne ricorda uno solo, di solito ‘non uccidere’ o ‘non rubare’”… E via di questo passo. Una “bella” notizia, non c’è che dire! Non a caso il Concilio Vaticano II si svolse lungo il filo conduttore di una rinnovata catechesi ed evangelizzazione. Ne scrissero tutti i Papi che si sono succeduti: sia Paolo VI con la Evangelii nuntiandi del 1975, sia Giovanni Paolo II con la Christifideles laici del 1988, sia Papa Benedetto con la trilogia su fede, speranza, carità, sia il Sinodo dei vescovi lo scorso anno. Mi sia consentito un ricordo personale. Come segretario della Commissione presbiterale italiana partecipai a una seduta della nascente Cei, nella quale i Vescovi avanzarono la proposta di non battezzare più i figli di famiglie poco o nulla praticanti. I delegati francesi consigliarono di essere cauti, perché anch’essi avevano fatto così, ma le chiese s’erano svuotate. Nacque allora l’idea di ritornare all’antico catecumenato per “rifare” i cristiani. Allo scopo fu pubblicato il “Rica” (Rito di iniziazione cristiana degli adulti) e furono scritti i nuovi Catechismi per gli adulti e per i giovani. Grande fu il fervore di quegli anni, che si spense però un po’ alla volta, dissolvendosi in una routine pastorale di conservazione dell’esistente.
Nel frattempo qualcosa è egualmente nato a opera di laici: sono i movimenti ecclesiali, che si sono fatti carico di una graduale, paziente, continuativa, verificata formazione cristiana di adulti e di giovani com’era all’origine della Chiesa, con diverse metodologie e linguaggi, ma con lo stesso scopo di formare piccole comunità cristiane come lievito nella massa. Sono stati approvati esplicitamente dai Papi, ma sono guardati ancora con una certa diffidenza. Il beato Giovanni Paolo II ha ripetuto in tutti i modi che è tempo di nuova evangelizzazione, spiegando concretamente, l’aggettivo “nuova” da lui usato: nuovo per il fervore degli evangelizzatori, per le metodologie adottate, per i linguaggi usati. È vero che nel frattempo è cambiata radicalmente la società, con l’iper-produzione delle fonti informative e con abitudini di vita condizionate da quella cultura che Papa Benedetto ha definito di “ateismo spirituale” e di “dittatura del relativismo”. Stanno aumentando anche gli adepti di sette con “convertiti” raggiunti porta-a-porta, lo svuotamento graduale delle chiese, la crisi dei matrimoni, l’accumulo spregiudicato del denaro da parte di organismi finanziari e degli speculatori, l’esaurimento di associazioni pur benemerite, ecc. Resiste ancora (ma fino a quando?) la pietà popolare; è pure cresciuto, per le note contingenze economiche, l’impegno assistenziale delle Caritas; sta interessando molto l’opinione pubblica la singolare figura dell’attuale Vescovo di Roma, cioè Papa Francesco, il quale non risparmia “punzecchiature” a una Chiesa un po’ stanca e distratta. Attendiamo con ansia la sua riflessione conclusiva sul Sinodo dei vescovi con le 56 propositiones che l’hanno riassunto, ove non si manca di fare menzione, più volte, proprio dei movimenti ecclesiali.