Si discute molto oggi del problema dell’identità, riferita a molti aspetti della vita singola e collettiva, collegandosi in modo particolare alla relazione tra popoli e culture, in ultima analisi alla pace. In un recente incontro a Roma un professore del Laterano, divenuto vescovo alcuni mesi fa, Ignazio Sanna, già assistente nazionale del Meic, autore di importanti opere di antropologia teologica, tra le altre osservazioni fatte ha proposto un interessante concetto dell’identità, da una parte ovvia e dall’altra controcorrente.
Egli ha detto: “C’è chi definisce l’identità come appartenenza a un territorio, una cultura, una lingua, una religione, e chi fa riferimento alla percezione interiore di sé”. “Nel nostro tempo, in cui è venuta meno la stabilità dei parametri delle appartenenze culturali”, ha detto Sanna, “la concezione cristiana dell’uomo come ‘immagine di Dio’ può offrire un contributo alla definizione dell’identità e alla tutela della dignità della persona”. “‘L’uomo immagine’ ha una identità ‘aperta’, agli altri e all’Altro”.
Ognuno può comprendere che abbiamo qui la presentazione della più genuina concezione biblica e cristiana, sufficiente a fugare ogni tentazione di chiusura e di opposizione tra persone e popoli a causa di un’identità nazionale o culturale. Il pensiero di Sanna, articolato e complesso nei suoi scritti di antropologia, è una diretta risposta alla paventata guerra tra religioni. L’essere immagine di Dio è infatti l’identità base, quella fondamentale che assimila gli esseri umani e li accomuna in un’unica dimensione per essenza, dignità e valore. Così l’apertura all’altro risulta imprescindibile per la costituzione della persona umana nella relazione io-tu. È pertanto un’identità necessaria, ed ogni persona umana non sarebbe tale nella sua autocoscienza senza la presa d’atto di questa propria intima realtà. Oggi questo discorso risulta più importante del solito per lo spettro dello scontro, non solo tra grandi masse portatrici di culture e tradizioni diverse, come sono le grandi tradizioni religiose secolari, ma anche tra gruppi e gruppuscoli che si agitano nello stesso ambiente culturale e sociale. Pensiamo ai fondamentalismi ideologici di tipo politico o economico, lobbistico o tribale. Questa concezione aperta dell’identità, tuttavia, non deve essere considerata una specie di cavallo di Troia per eliminare quelle caratteristiche non citate da Sanna, come, tra l’altro, la distinzione dei generi maschile e femminile, come alcuni tentano di proporre.
Il riconoscimento della diversità tra l’essere uomo e l’essere donna non scalfisce in nulla l’identità fondamentale in quanto persone aperte l’una all’altra e serve a comprendere modi di sentire e di comportarsi che non sono omologabili e che meritano di essere rispettati anche come ruoli e funzioni: maternità e paternità ad esempio. Il discorso è delicato e va preso con intelletto d’amore per non chiudere le persone dentro schemi rigidi prefissati dall’alto. Questo riconoscimento porta con sé una qualità sul piano dell’essere (operari sequitur esse) e va ad arricchire l’identità fondamentale comune ad ogni persona. Alcuni oggi propongono, quale principio antropologico, l’eliminazione della differenza di genere per dare ad ogni individuo un’assoluta libertà di scelta. Voltare così le spalle alla natura, però, si corre il rischio, ricordato da Ruini, di perdere il contatto con il fondamento dei diritti umani e di entrare nella sfera dell’arbitrio.