La diffusione territoriale fittissima dei teatri è forse il fenomeno che più impressiona, anche se non è un dato umbro, ma un fenomeno di scala nazionale; il teatro all’italiana, che è stato un riferimento per la cultura europea, è cresciuto attraverso una miriade di strutture, centinaia di strutture, alla cui costruzione hanno lavorato con un accanimento sorprendente i centri piccoli e grandi della regione che ne hanno fatto un’espressione forte di identità sociale e culturale. Le prime sale, cinquecentesche, sono accademiche, sia pure costruite dentro i palazzi pubblici. I teatri municipali arriveranno molto più tardi. E’ nella seconda metà del Seicento che l’idea di teatro si modifica e lo spazio diventa più articolato. Nascono le sale a palchetti, delimitate da pareti lignee con logge a più piani. Anche i palcoscenici si approfondiscono e le scene si meccanizzano. Pare che sia Città di Castello a proporre il primo teatro a palchetti in Umbria, progettato da un architetto di teatri, Antonio Gabrielli e aperto nel 1666; negli stessi anni Spoleto ristruttura la sua sala accademica con la costruzione di quattro ordini di palchi. La maggior parte dei teatri, che si ampliano, rimangono dentro i saloni pubblici: a Todi il teatro di Francesco Sforzini del 1676 nella Sala delle Pietre del Palazzo Comunale (notare che questo teatrino rimane in piedi fino alla fine dell’Ottocento). Naturalmente le modificazioni spaziali hanno più di una ragione: l’evoluzione della scenica barocca, le nuove macchine teatrali, l’allargamento del pubblico, catturato dall’opera in musica. Un mutamento forte di tendenza si ha nella seconda metà del Settecento: in quest’epoca i teatri si moltiplicano, con un’estensione sociale, perché convivono quelli nobiliari con quelli finanziati dal ceto borghese o sostenuti dalla municipalità. Il vero rinnovamento si introduce in Umbria con due grandi teatri, a Perugia: quello del Pavone e, subito dopo, il Teatro Civico del Verzaro. Sono teatri in muratura. Nel 1765 i nobili Accademici del Pavone pensano in grande e incaricano Pietro Carattoli, architetto affermatissimo, di ricostruire, sul vecchio teatro in legno, un nuovo impianto aderente alle nuove tendenze in corso: entra così in Umbria la sala a ferro di cavallo, sulla quale in ambito italiano si erano accavallati teorie ed esperimenti.Segue a ruota il Teatro del Verzaro (Morlacchi), rivalsa borghese del 1777, (Annibale Mariotti ne è anima intellettuale), più grande, più complesso, più costoso, affidato all’architetto emergente Alessio Lorenzini e decorato da Baldassarre Orsini. Lorenzini, qualche anno più tardi disegnerà anche il teatro di Spello, voluto dall’Accademia dei Quieti ma finanziato dal Comune. Impossibile parlare in breve dei tantissimi teatri che sorgono in ogni centro umbro tra Settecento e Ottocento, talvolta con un grado di architettura e decorazione che sembra fuori scala rispetto alle dimensioni del centro urbano. E’ pur vero che in questo momento ogni centro rappresenta una città nei confronti della campagna e che nel teatro si materializza lo spirito urbano, come espressione di identità e luogo di produzione intellettuale, oltre che punto di agglomerazione. Il teatro sembra misurare il prestigio cittadino e finisce per rappresentare uno standard urbanistico. Bisogna pur dire che i tempi di costruzione dei teatri sono quasi sempre lunghissimi, e molti rimangono sulla carta. Quello di Amelia impiega circa venti anni, quello di Trevi progettato nel 1844 da Lorenzo Carpinelli non viene mai costruito. La vicenda del teatro di Orvieto inizia nel 1841 e termina solo nel 1886, avendo anche sostituito l’architetto (Virginio Vespigani, romano, ne è l’autore finale). Il teatro di Orvieto, già a metà Ottocento, muta il panorama urbano: il teatro diventa “palazzo urbano”, la sua architettura non più mimetica dialoga con la città. La monumentalità architettonica appartiene in questo periodo a tre grandi teatri: il Nuovo di Terni firmato da Luigi Poletti (1839) e il Teatro Nuovo di Spoleto, del marchigiano Ireneo Aleandri, edificio neoclassico di grande forza architettonica e urbanistica, che si lega al riassetto della città ed è espressione dell’alta società spoletina. L’Unità d’Italia da un’altra spinta alla realizzazione di teatri. Nel riassetto amministrativo e urbanistico, i teatri diventano opere pubbliche essenziali. La rivoluzione borghese del ’60 rilancia il teatro e la lirica è esaltata dall’ebbrezza risorgimentale. Si cerca di completare la costruzione dei teatri in tutti i centri in ritardo, oppure si mutano i teatri esistenti secondo le nuove correnti del gusto. Il Teatro degli Illuminati di Città di Castello viene ricostruito proprio nel 1861. I nuovi teatri post-unitari sono quasi tutti degli anni ’70 dell’Ottocento (a fine Ottocento quest’esplosione costruttiva si chiude per sempre: recessione economica, trasformazioni sociali e nuove forme di spettacolo, tra cui, potentissimo, il cinematografo, ne sono le cause) e sono finanziati dal governo municipale: Norcia (1870), Trevi (1874), Todi con il progetto del toscano Gatteschi tra il 1868 e il 1876, il Caio Melisso di Spoleto (questo teatro rimane però legato all’attività accademica), Bevagna con un sofferto iter che dura dodici anni (anche qui si avvicendano più architetti: Antonio Martini, Guglielmo Calderini, Giovanni Bertuzzi). Questo volume nasce per parlare del restauro di teatri. Allora, perché tanto spazio alla ricerca storica? Perché il teatro storico è un tale condensato di istanze e di messaggi, che si possono decodificare solo attraverso un’accuratissima ricerca sulla sua storia artistica e tecnica. Il restauro di un teatro offre una possibilità rara: è un recupero eccezionale, perché tende a restituire il monumento a se stesso; è uno dei pochi grandi edifici storici che mantiene la sua funzione originaria. (Stralcio dell’intervento di Giovanna Chiuini alla presentazione del volume)Trent’anni di restauro dei teatri storici dell’Umbria in un volumeUn viaggio nel tempo e nella vita sociale delle nostre città, è quello che offre il volume “Teatri storici in Umbria-l’Architettura”, frutto della decennale opera di restauro dei teatri storici umbri. Giovanna Chiuini ne ha offerto un assaggio gustoso (che in parte vi proponiamo in questa pagina) al pubblico presente alla presentazione del volume venerdì 16 alla sala Brugnoli di palazzo Cesaroni. Architetto con una lunga formazione nel campo della storia della città e del restauro la Chiuini ha curato il volume ed è autrice delle parti dedicate alla costruzione dei teatri, alla relazione tra teatro e città, ai temi della tutela e conservazione di questo patrimonio. Trecentotrenta pagine corredate da un ricco repertorio fotografico, raccolgono il lavoro iniziato dalla regione dell’Umbria negli anni ’70 con il censimento dei teatri umbri, al tempo per lo più inagibili, portato all’attenzione del pubblico con una mostra a Spoleto nel 1977. La pubblicazione, promossa dalla Regione Umbria (Direzione regionale alle politiche territoriali, ambiente e infrastrutture) contiene contributi, di esperti (Migliorati, Ciliberti, Boco, Bozzi) dedicati a tutto ciò che è teatro: dalle tecniche costruttive, alla pittura dei sipari, al rito dello spettacolo, agli autori, agli attori, agli impresari ed al pubblico, alle scenografie, alla storia del teatro musicale. I teatri descritti nel volume sono il “Torti” di Bevagna, “Bontempelli” di Citerna, l’Auditorium S. Domenico di Foligno, il Teatro Comunale di Gubbio, la “Concordia” di Montecastello di Vibio, il “Teatro dei Rustici” di Monteleone d’Orvieto, il Civico di Norcia, Cesare Caporali di Panicale, “Morlacchi” di Perugia, “Subasio” di Spello, “Caio Melisso” e “Teatro Nuovo” di Spoleto, Comunale di Todi, “Clitunno” di Trevi ed il “Teatro dei Riuniti” di Umbertide. A cura di Giovanna Chiuini “Teatri storici in Umbria-l’Architettura” edizioni Electa
I teatri storici umbri testimoni della vita sociale delle nostre città
Contributo di Giovanna Chiuini curatrice del volume sui trenta anni di restauri
AUTORE:
R.V.