A guardarla dalla valle non si riesce a vedere granché, oggi. L’antica città umbra di “Tàrgina”, che dominava il Pian di Gualdo da uno sperone roccioso oggi chiamato Col dei Mori, è molto meno evidente dell’adiacente cava, che per metà se l’è ingoiata in decenni di scavo “matto e disperatissimo”, lasciando profonde ferite nell’Appennino gualdese.
Ma si tratta di un sito incredibilmente importante, uno dei pochi risalenti alla prima metà del I millennio a.C. e che, da solo, può testimoniare la vita, gli usi e i costumi di un popolo indouropeo fra i più misteriosi: gli antichi Umbri.
Enrico Stefani, fra gli anni Venti e gli anni Cinquanta del secolo scorso, la riportò alla luce traendone migliaia di preziosi reperti, che testimoniavano la ricchezza di questo centro abitato, i cui abitanti erano dediti al commercio e, rispetto agli altri umbri, avevano un tenore di vita benestante, come si può dedurre dai tanti oggetti greci di importazione.
La città non offre che strutture murarie, visto che le pareti e i tetti erano di materiali deperibili come il legno, ma, dallo scorso 25 luglio, i più interessanti reperti sono visibili nel nuovo Museo archeologico degli antichi umbri, che sorge nei locali di quella che fu villa Cajani, nel centro storico di Gualdo Tadino (tel. 075 9142455).
Gran parte del materiale, che proviene da vari archivi umbri, è stato identificato grazie alle ricerche, condotte per la sua tesi di laurea, da una giovane archeologa, Maria Angela Testa. Altro materiale è stato reperito nel sito archeologico di Col dei Mori, negli ultimi anni, dall’ex soprintendente reggente ai Beni culturali Laura Bonomi Ponzi, con la collaborazione di Rosanna Ovidi e Andrea Ponzi.
L’intera raccolta, che occupa i tre piani dell’edificio un tempo residenza di una delle più nobili famiglie gualdesi, è stata disposta in maniera innovativa, con ampio uso di luci, colori ed effetti visivi dall’architetto Nello Teodori. Vi si possono trovare oggetti di uso quotidiano, stoviglie di ceramica, vasi (anche stupendi vasi greci), frammenti di iscrizioni, oggetti metallici, armi, monili, grazie ai quali è possibile ricostruire un ritratto più preciso di un popolo che, fino a qualche anno fa, era considerato oscuro e misterioso, a partire dalla propria lingua.
Grazie a questa nuova raccolta, invece, gli antichi “Targinater” – maledetti nelle Tavole eugubine in quanto fieri nemici degli umbri di Ikuvium – tornano finalmente alla luce. E nei luoghi dove vissero venticinque secoli or sono.