I laici come “cartina tornasole” della qualità della fede e della capacità del cristianesimo di avere a che fare con l’uomo di oggi. Ne ha parlato il Papa, che in una delle ormai abituali messe mattutine a casa Santa Marta ha pronunciato un secco “no” a una Chiesa “baby sitter”, che “cura il bambino per farlo addormentare”, esortando i fedeli laici a riscoprire la forza del loro battesimo per annunciare il Vangelo nella società. Nella messa del 18 aprile, Papa Francesco ha denunciato il pericolo di un “Dio spray”, che “è un po’ dappertutto e non si sa cosa sia”. Ne abbiamo parlato con la sociologa Giulia Paola Di Nicola, condirettrice della rivista Prospettiva persona.
I laici hanno una grande responsabilità, ha detto il Papa: “annunciare Cristo, portare avanti la Chiesa”. È un invito al protagonismo?
“Certo, ma non nel senso di ambire a posti di potere: in un senso molto più sostanziale. I laici sono quelli che annunciano Cristo nella realtà, testimoniandola; una realtà viva, non inserita in una struttura. Il magistero dei sacerdoti corre sempre il rischio di trasformarsi in una struttura, di esserne appesantito. È una legge sociologica nota a tutti. Già Hegel, ne Lo spirito del cristianesimo e il suo destino, parlava del cristianesimo come di una speranza meravigliosa e sublime, che quando poi si allarga all’esterno diventa una struttura. Mentre chi è dentro questa struttura deve combattere per organizzarla, o all’occorrenza per difenderla gerarchicamente, i laici sono liberi nel loro compito di portare Gesù vivo nella storia, non solo il Gesù sacramentale. È questa la vita per cui cammina la Chiesa: grazie ai testimoni, in gran parte laici. Se i preti, infatti, in teoria possono svolgere un ‘ruolo’ anche senza essere testimoni, per la grazia di stato che agisce in loro, noi laici abbiamo una sola forma di testimonianza possibile: quella verificata dalla vita, messa alla prova dalle circostanze dell’esperienza quotidiana. O Cristo vive in noi, o non portiamo niente”.
La radicalità della fede esige il coraggio: come quello, ricorda il Papa, dei cristiani perseguitati, che hanno lasciato le loro case, portando con sé poche cose, eppure hanno saputo fare miracoli…
“È così che la Chiesa ha camminato: i dodici apostoli si presentavano come laici. Gesù è un sacerdote perché è la dottrina che ce lo presenta così, ma ‘conquista’ perché si presenta da laico, perché era un laico: il fatto che fosse Figlio di Dio veniva fuori dalle opere, dalla testimonianza, da ciò che lui era realmente. Da una parte, la testimonianza del laico può sembrare la più debole, ma dall’altra ci si abitua a giocare la carta della vita vera: o sei, o non sei. Dov’è che incontriamo Cristo? Dove qualcuno si comporta in un certo modo, è sollecito verso l’altro, non sta dietro solo alla carriera. È lì, nella ferialità dei nostri luoghi quotidiani, che uno vede cosa è il cristianesimo, e la testimonianza del laico è ancora più importante oggi, in un tempo in cui i peccati della Chiesa – basti pensare alla pedofilia – si sono resi più evidenti. È sulla vicinanza, sulla prossimità che si gioca la testimonianza e il futuro stesso del cristianesimo”.
Non è proprio la Chiesa “baby sitter”, invece, che cerca la maggior parte dei fedeli laici?
“Fare il laico è… rischioso: talvolta il pericolo è rimanere soli, anche rispetto alla Chiesa; nessuno ti difende. Penso, ad esempio, alla mia esperienza in università. Il laico risponde in prima persona rispetto alle numerosissime scelte che la vita gli impone: nessuno ti fa da garante, la vita è un mare aperto, se va male le paghi tutte, senza sconti. A volte vorremmo un appoggio, e questo appoggio non c’è. Nelle nostre comunità ecclesiali, inoltre, molti laici aspettano la bacchetta del direttore: non si muovono se prima non interviene il parroco. È anche vero che, se si comportano così, è perché sono stati educati in questo modo. Ma il cristianesimo è la religione dell’amore, e soprattutto i laici devono avere uno sguardo diverso sulle cose: ad esempio, devono essere capaci di credere, in un tempo di crisi, che problemi come quello della povertà possono essere risolti non solo da chi sa far quadrare i conti – pur necessario – ma dalla potenza di un Gesù che moltiplica i pani e i pesci”.
Se i laici riscoprono la forza del loro battesimo, “la Chiesa diventa una madre che genera figli”. Cosa ne pensa di questa espressione?
“È senza dubbio un’affermazione opportuna, a patto però che non si traduca nel ‘ghettizzare’ la donna. Il Papa, da parte sua, è molto chiaro: la maternità – intesa come potenza generativa propria di chiunque agisce, e dunque non solo come appannaggio del genere femminile – è l’essenza del cristianesimo, in quanto legato alla sua natura trinitaria. L’atteggiamento generativo è anzitutto di Cristo, che dalla croce ha generato la Chiesa, e poi dell’essere umano che in quanto tale è un essere relazionale: ciascuno di noi fa esistere l’altro, lo fa crescere. In questa prospettiva, la maternità è un paradigma, un codice etico, umano ed ecclesiale estensibile a tutti, benché inscritto dal punto di vista fisico nel corpo della donna”.
“Dio non è uno spray”, ha ammonito Papa Francesco. Dio è persona. Come contrastare questa tendenza, molto diffusa, a una sorta di “evanescenza”?
“Prendendo coscienza della vera natura della persona, che è ‘essere in relazione’ solo se non punta a sfruttare l’altro, ma a farlo esistere per farlo essere se stesso e, in questo modo, restituirci qualcosa di sé, arricchirci con la propria umanità, in un’ottica di reciprocità. Se penso al paradigma del laico, mi vengono in mente Maria ed Elisabetta: due donne che sperimentano che Gesù è tra di loro perché viene generato e fa sussultare il grembo dell’altra persona. Due laici, quando la Chiesa non è stata ancora istituita, due persone che ricevono un nuovo spunto dal fatto che Gesù è tra loro. Se riusciamo a fare questo tra le persone, educandole a far esistere Gesù tra noi, possiamo dire che realizziamo la nostra vocazione di laici”.