I credenti di tutte le religioni rigettino ogni forma di violenza.

11 settembre un anno dopo. La strada della guerra è la strada della catastrofe.

Nell’udienza generale dell’11 settembre il Papa ha pregato insieme ai fedeli, in tante lingue, il Signore Dio di infinita misericordia perché abbia pietà per le tante ingiustizie che macchiano la coscienza del genere umano ed lo ha invocato perché gli uomini e le donne della terra crescano nella concordia fino a formare una sola famiglia umana. In modo specifico, nell’Aula Paolo VI del Vaticano, si è innalzata una preghiera in arabo, la lingua del Corano e della preghiera dell’intero mondo musulmano, perché “i credenti di tutte le religioni rigettino ogni forma di violenza e si impegnino a risolvere i conflitti con il dialogo sincero e paziente rispettoso delle differenti esperienze storiche, culturali e religiose”. In questa preghiera è racchiuso in bella ed efficace sintesi il programma del cammino di conversione e di riconciliazione delle religioni verso la pace. Sono da mettere in rilievo gli aggettivi utilizzati per qualificare il dialogo: “sincero, paziente, rispettoso delle differenze”. Sembrano aggettivi che vanno bene nella preghiera che pone la sua fiducia nella potenza di Dio, a cui nulla è impossibile, mentre appaiono lontani dai compoertamenti prevalenti degli uomini del nostro tempo. Dopo l’11 settembre, infatti quello che è venuto meno è proprio la fiducia reciproca nella sincerità e nella pazienza di attendere chiarimenti e percorsi di soluzione dei problemi attraverso idonei strumenti della politica, delle leggi e degli organismi internazionali. In questi giorni in cui tutti si sono domandati che cosa sia cambiato dopo il tragico attacco dell’anno scorso, noi possiamo pensare con molti altri e nella osservazione di comportamenti concreti, che sia calato il sospetto degli uni sugli altri, anche tra cristiani e musulmani. Si è dovuto tristemente costatare che nell’Islàm sono più numerosi di quanto si poteva pensare coloro che ritengono il crollo delle torri con le conseguenti vittime sia una punizione divina contro l’empietà dell’occidente cristiano divenuto diabolico. Osama Bin Laden non é stato seguito dal mondo musulmano in massa, come osserva Gilles Kepel, non è riuscito a creare una sollevazione religiosa popolare. E’ vero. In questo senso ha fallito. E tuttavia, con rammarico dei musulmani moderati, Osama è stato largamente applaudito, ammirato e comunque mai debitamente condannato, anche nelle nostre città e da amici di vecchia data, accompagnati da antiamericani storici. Al sospetto e alla paura si rischia di rispondere con la fuga, l’isolamento o il ricorso alle armi. Risuonano tristi riconoscimenti della guerra come ineluttabile necessità contro il terrorismo che da tempo non venivano manifestati (Galli Della Loggia). Ma questa è la strada della catastrofe, alla quale Giovanni Paolo II oppone la via del dialogo “sincero e paziente”. E’ lo “spirito di Assisi”, dal 1986 mai superato, anzi mai quanto oggi reso attuale e attualizzato dall’incontro del 24 gennaio scorso, che propone la ricerca della pace con la giustizia e il perdono. A conforto di coloro che sperano e che spesso vengono guardati con commiserazione dai cinici fautori del ricorso alla forza, possiamo ricordare che forse mai come in quest’anno trascorso dall’11 settembre 2001 ad oggi vi sono state tante pubblicazioni, incontri, dialoghi, volti al chiarimento sui rapporti tra Cristianesimo e Islam da una parte e sulla connessione tra religioni e violenza dall’altra. Le religioni e i loro membri sono chiamati a convertirsi e il dialogo è lo stimolo perché ciò avvenga, producendo una cultura della convivenza e del rispetto della diversità che permetta un processo di sviluppo umano diffuso tra tutti i popoli.