di Daris Giancarlini
“Grumo” è termine dai rimandi nefasti, sia usato in gastronomia sia facendo riferimento alla circolazione sanguigna. Hanno scelto questa parola, “grumo”, i giudici del Tribunale del riesame di Perugia per descrivere, nelle motivazioni con cui hanno respinto la richiesta di libertà per alcuni indagati nella maxi inchiesta sulla gestione della sanità a Perugia, “il coacervo di poteri – legali e illegali, visibili e occulti – che ha condizionato”, secondo gli stessi magistrati, la vita dell’azienda ospedaliera perugina.
I giudici fanno soprattutto riferimento, nel parlare di ‘grumo di potere’, a una delle frasi intercettate nel corso dell’inchiesta: “Tra la massoneria, la Curia e la Giunta, non me danno tregua. E la Calabria unita”, avrebbe affermato il direttore generale dell’azienda.
Un’estrema sintesi, quella del dirigente sanitario perugino, che presa in sé dice tutto e nulla. Saranno le indagini, tuttora in corso, a stabilire nomi e cognomi e responsabilità di chi, a vari livelli – secondo l’ipotesi degli inquirenti – avrebbe operato al di fuori delle regole per ottenere vantaggi di vario tipo.
Quello che interessa in questa sede è il rimando che i magistrati del Riesame, parlando di ‘grumo di potere’, hanno voluto ribadire nel descrivere entità o soggetti capaci di manovrare a loro piacimento certe procedure in ambito sanitario. La definizione, di carattere sociologico più che giuridico, di ‘grumo di potere’, rimanda a quella sensazione che in Umbria è databile da alcuni decenni e che fa riferimento – nelle chiacchiere da bar ma anche in sedi più qualificate – a poteri operanti ‘dietro le quinte’ della trasparenza. Se n’è discusso, con toni sovente concitati, in alcuni particolari momenti della storia regionale.
Gli interventi di mons. Cesare Pagani
Gli articoli e gli interventi radiofonici di mons. Cesare Pagani, vescovo di Perugia nel 1985, che avevano come tema specifico la inconciliabilità tra fede cristiana e appartenenza alla massoneria, scossero non soltanto le trenta Logge cittadine, ma l’intera città e tutta la regione. All’affermazione del presule secondo cui “la massoneria vive sotto il pelo dell’acqua delle cose che si possono vedere e combattere”, i diretti interessati risposero con un manifesto durissimo, apostrofando Pagani come “falso profeta”.
Le parole di mons. Chiaretti
Nel 2006 nuovamente un vescovo di Perugia, mons. Giuseppe Chiaretti, dichiarò che “in Umbria da 60 anni c’è un regime che affievolisce le coscienze, dentro il quale il mondo del laicato cattolico patisce una subalternità politica e culturale”. La frase provocò reazioni politiche immediate da parte soprattutto della sinistra, alla guida della regione dal dopoguerra.
Studiosi come il sociologo Roberto Segatori scrissero che “a Perugia comandano due Chiese, ma nessuna delle due è cattolica: la prima si chiama massoneria, la seconda ieri si chiamava Pci e oggi Ds”. Lo stesso docente definì il potere massonico e quello comunista “poteri strutturati e capillari, che spesso e volentieri si intrecciano e saldano assieme”.
Sull’onda della presa di posizione di Chiaretti, si tenne un dibattito a novembre dello stesso 2006, protagonisti il giornalista Sandro Petrollini, lo storico e politologo Ernesto Galli della Loggia e il docente di storia Alberto Stramaccioni, per anni impegnato ad alti livelli dirigenziali nel Pci-Pds-Ds dell’Umbria.
L’opinione di Stramaccioni
Lo stesso Stramaccioni, nel pamphlet che riporta il confronto a tre, offre una lettura che tende ad allargare l’analisi al di là dei confini della politica. Stramaccioni parla di “logiche di tipo oligarchico di poteri trasversali agli schieramenti politicosociali, che si muovono nell’interesse particolare e non certo nell’interesse generale”. Questo, per il docente perugino, “finisce con il ridurre e il delegittimare gli spazi stessi della politica e il ruolo delle istituzioni democratico-rappresentative”.
Dunque non la sola sinistra – per Stramaccioni – né soltanto una singola associazione, ma “oligarchie trasversali” avrebbero operato nel tempo in Umbria dando vita a un ‘sistema’ che, giocoforza, ha tra i suoi effetti principali, in ogni settore della vita politica, economica, imprenditoriale e sociale, la sensazione che a godere delle ricadute positive siano soltanto coloro che del sistema fanno parte. Per chi sta fuori, nessuna speranza. Neanche se nel suo curriculum può esibire preparazione, impegno, voglia di lavorare, idee originali, onestà e trasparenza.
Non rincuora il fatto che, nonostante in questi anni si siano succedute inchieste giudiziarie e prese di posizione che hanno segnalato il problema, tutto – a giudicare dall’inchiesta sulla sanità – sia rimasto più o meno come prima. Come sempre. Ma all’idea che la politica non possa operare in modo trasparente nell’interesse generale, non ci si dovrebbe rassegnare. Specialmente per chi si professa cattolico.