L’evento che si realizzò nel 1986 ad Assisi, con Giovanni Paolo II e i leader delle religioni mondiali in preghiera per la pace, ha segnato la storia. Espressioni come “icona di Assisi” e “spirito di Assisi” sono diventate un modo di rappresentare il messaggio di quell’esperienza indimenticabile e, in certo senso, irripetibile. In realtà, ciò che quell’evento esprimeva era già nel dettato del Concilio Vaticano II. Era già nell’impegno della Chiesa, come in quello di tanti credenti di altre religioni. Ma ad impressionare fu il fatto che ciò diventava un atto “comune”. Qualcosa di tangibile. Si faceva “icona”. La novità fu grande, una sorta di “shock”. Molte furono le adesioni. Non mancarono, d’altro canto, le perplessità. Affiorò il timore che quel tipo di incontro interreligioso favorisse relativismo e sincretismo: esiti certo non voluti, ma che potevano essere il rischio di una leggerezza interpretativa dell’opinione pubblica. Ma intanto l’evento fu posto. Solenne. Di portata storica. Quando, cinque anni fa, feci il mio ingresso pastorale ad Assisi, era il ventesimo, e già allora auspicavo, per commemorarlo, una venuta del Papa nella città serafica. Benedetto XVI sarebbe venuto l’anno dopo, ma per altra circostanza. Per allora ci fu solo un’ampia, illuminante, lettera, in cui Papa Ratzinger faceva sua l’esperienza del predecessore. Se, da un lato, metteva in guardia da interpretazioni fuorvianti, dall’altro riaffermava l’attualità e il significato profetico della storica Giornata. L’avvicinarsi del venticinquesimo non poteva non interessare la Chiesa di Assisi, tutte le sue componenti, in particolare i figli di Francesco. Non c’è dubbio che la scelta di questa città fu dovuta allo speciale carisma che il Poverello le ha impresso. Ad Assisi si fa meno fatica ad incontrarsi. Nell’umiltà di Francesco, il Vangelo risplende. Se ne coglie più facilmente il “cuore”: la notizia di un Dio fatto “Bambino”. Ne scaturisce un messaggio di umiltà, di povertà, di mitezza, di solidarietà, che offre il clima ideale in cui le differenze si possano incontrare, senza che nessuno debba negare la propria identità, ma, al tempo stesso, venendo spinto ad affermarla senza quell’orgoglio che crea steccati e favorisce le guerre. Ho sentito perciò il bisogno, insieme con i francescani al più alto livello – i Ministri generali – e naturalmente i francescani di Assisi, di chiedere al Santo Padre che, nell’occasione del venticinquesimo, non si limitasse a un messaggio scritto, ma ci desse la gioia della sua presenza. Se altri, in particolare la Comunità di Sant’Egidio, in questi anni ha portato la fiaccola di quell’evento in giro per il mondo, ad Assisi questa fiaccola non può non risplendere con speciale intensità. E che cosa la potrebbe alimentare più di un intervento, anche fisico, del Papa? È nata così la petizione che ha avuto, a capodanno, la risposta tanto attesa: Benedetto XVI verrà! Lo ha annunciato, non a caso, nel giorno dedicato alla pace, sullo sfondo di un messaggio centrato sulla libertà religiosa, e nel contesto drammatico di un grave bilancio di sangue, soprattutto a spese dei cristiani, dovuto proprio a una mancata recezione del messaggio del 1986. Ancora troppo fondamentalismo e fanatismo imperversano nel mondo. Che il Papa venga ad Assisi, e che molti esponenti di altre religioni condividano il suo pellegrinaggio, è un messaggio di speranza, di cui avvertiamo la stringente attualità. Assisi è grata al Pontefice. Sente anche tutta la responsabilità di vivere l’evento – come già venticinque anni fa – all’altezza di quello “spirito” che ne fa, nella Chiesa e nel mondo, una città-icona, un laboratorio spirituale della pace.
Grazie Santità!
Editoriale
AUTORE:
† Domenico Sorrentino