Gli operai di Dio

PAPA FRANCESCO. L’Angelus del 7 luglio. Era la Giornata dei seminaristi

suore-san-pietro“La gente ha bisogno certamente di parole, ma soprattutto ha bisogno che noi testimoniamo la misericordia, la tenerezza del Signore che scalda il cuore, che risveglia la speranza, che attira verso il bene”. Papa Francesco domenica 7 celebra messa per i seminaristi, per novizi, novizie e per coloro che sono in cammino vocazionale, e dedica loro il discorso che precede la recita dell’Angelus. In sintonia con le letture del giorno, soprattutto con il Vangelo di Luca che parla della messe, che è molta, e dei pochi operai.

Tema caro a Francesco, che, sin dall’inizio del suo ministero di Vescovo di Roma, ha sempre chiesto ai sacerdoti di essere in mezzo al gregge, di avere l’“odore delle pecore”, di spingersi alle periferie dell’esistenza per cercare le 99 pecore che sono fuori del recinto. Andare e annunciare sono i due verbi che accompagnano le parole di Luca; Cristo è venuto ad annunciare pace attraverso quei 72 discepoli – come i 72 anziani che affiancarono Mosè nel governo di Israele – che, a due a due, sono stati inviati in ogni città. Dice Papa Francesco: se i dodici sono gli apostoli e quindi rappresentano anche i vescovi, questi 72 possono essere non solo gli altri ministri ordinati, ma anche i catechisti, i fedeli laici che si impegnano in parrocchia, con i malati.

Andare, annunciare il Signore che è venuto e viene ogni giorno superando le chiusure dietro le quali si nasconde l’uomo, oggi come ieri. Questo perché Gesù, ricorda il Papa, “non è un missionario isolato, non vuole compiere da solo la sua missione, ma coinvolge i suoi discepoli… Non vuole agire da solo, è venuto a portare nel mondo l’amore di Dio e vuole diffonderlo con lo stile della comunione, della fraternità”. Fonda subito una comunità di discepoli, “comunità missionaria”, ma lo scopo “non è socializzare, passare il tempo insieme. No, lo scopo è annunciare il regno di Dio e questo è urgente; non c’è tempo da perdere in chiacchiere, non bisogna aspettare il consenso di tutti, bisogna andare e annunciare. A tutti si porta la pace di Cristo, e se non l’accolgono, si va avanti”.

Nelle sue parole all’Angelus e all’omelia in san Pietro, Francesco sottolinea che ogni cristiano è chiamato a portare il messaggio di speranza. E “la diffusione del Vangelo non è assicurata dal numero delle persone, né dal prestigio dell’istituzione, né dalla quantità di risorse”. Cristo ha mandato i suoi “come agnelli in mezzo ai lupi”, senza borsa, né sacca, né sandali. Come dire senza denaro, solo con la forza della testimonianza e della preghiera. “Gli operai della messe”, per usare l’espressione di Luca, “non sono scelti attraverso campagne pubblicitarie o appelli al servizio e alla generosità”. È Dio che sceglie e manda. E senza il rapporto costante con Dio, fare il prete o la suora diventa un mestiere: “Il rischio dell’attivismo, di confidare troppo nelle strutture, è sempre in agguato”. Così ricorda il suo predecessore per dire che la Chiesa “non è nostra ma di Dio. Il campo da coltivare è il suo”.

L’evangelizzazione si fa in ginocchio, coltivando la dimensione contemplativa anche nel vortice degli impegni più urgenti e pressanti. “E più la missione chiama ad andare verso le periferie esistenziali – dice ai seminaristi e ai novizi – più il vostro cuore sia unito a quello di Cristo”.

Parole che assumono una valenza del tutto particolare nella prospettiva del primo viaggio che Francesco compie dall’inizio del suo pontificato, e cioè la visita all’isola di Lampedusa e l’incontro con gli immigrati che sono riusciti ad attraversare quel braccio di mare scappando da situazioni di miseria, povertà, conflitti, alla ricerca di un futuro migliore per loro e per i figli. Una visita davvero alla periferia dell’esistenza, periferia dei diritti, tra coloro che hanno lasciato tutto mettendo a rischio la propria vita per cercare un futuro migliore. Visita che vuole fare memoria proprio delle molte persone che hanno perso la vita in mare. Messaggio all’Europa, alla politica perché non dimentichi che quegli uomini e donne non sono numeri, ma persone. E anche i loro nomi “sono scritti nei cieli”.

AUTORE: Fabio Zavattaro